PROPOSTA DI REVISIONE DELLA NUOVA EDIZIONE DEL CODICE DI DEONTOLOGIA MEDICA 2013

Considerazioni generali

E’ stata adottata una modalità espressiva più “discorsiva”, eliminando quasi ovunque la dizione “DEVE”, dando l’impressione di un’esortazione/constatazione cui è corretto ed auspicabile attenersi, piuttosto che di un dovere da compiere. Per chiarire questo concetto, basta riferirsi all’ ART.8 , che recita “il medico presta soccorso”, omettendo “DEVE” si elimina la categoricità e cogenza dell’atto; ogni cittadino è esortato a “prestare soccorso”, ma al medico – in quanto tale – è richiesto il DOVERE di prestare soccorso.

Del resto, “DEONTOLOGIA” significa etimologicamente “CONOSCENZA DEI DOVERI”: perché, quindi, l’impegno quasi certosino (ossessivo, in termini psicodinamici) ad eliminare dovunque il “DEVE”?

Eliminare od oscurare l’aspetto della perentorietà del “dovere” trasforma – di fatto – il Codice in una sorta di “gentleman’s agreement” di assai scarso valore civile e sociale.

In generale, nell’espressione dei singoli articoli si è adottata una formula più “prolissa”, generando spesso confusione. Il tono chiaro e perentorio degli articoli della precedente edizione era certamente più chiaro e puntuale.

Salvo qualche eccezione, rimane la sensazione che era preferibile mantenere il “vecchio” testo, con qualche minima correzione (come vedremo in dettaglio).

EMENDAMENTI

ART.1 E’ preferibile mantenere immutato il primo capoverso del Codice precedente. La definizione adottata nella nuova stesura di “CORPUS NORMATIVO” è quantomeno eccessiva e “pesante”, perché autoproporsi come “normativo” significa porsi nella categoria delle “fonti del diritto”, di fatto “scavalcando” il legislatore. Un “codice deontologico”non può mai far parte del “sistema” delle fonti del diritto.

ART. 3 – “L’esercizio professionale del medico è finalizzato alla tutela della salute degli individui  e della collettività …”. Il termine “collettività” appare generico, ambiguo e non appartenente al lessico giuridico, ove si parla – invece – di “comunità”. Inoltre i “diritti fondamentali” sono propri dell’individuo e non esistono “diritti fondamentali” della collettività. Si può parlare di “esigenze di sanità pubblica”, ma non di “diritti” della collettività. Inoltre, si delinea un ulteriore pericolo: mettere in conflitto i “diritti” della persona ed i presunti “diritti” della collettività, magari facendo prevalere – in particolari situazioni – questi ultimi. A questo proposito, si potrebbero portare numerosi esempi; si pensi solo al delicatissimo ambito della grande richiesta di organi per trapianto ed all’insufficienza delle donazioni: per i “diritti della collettività” si potrebbe pensare ad un accettabile affievolimento di “diritti della persona”.

ART. 3 – “Doveri del medico sono la tutela della vita, della salute … nel rispetto della libertà e della dignità della persona (tolto: UMANA: perché?) senza distinzioni di età, di sesso, di GENERE … “ E’ inaccettabile: in medicina esiste il SESSO; la categoria di GENERE è un costruzione antropologica recente, su base marcatamente ideologica, non corrispondente in nulla alla realtà scientifica della differenza di sesso. Maschio o Femmina: questo ci dice la medicina. I “generi” sono categorie culturali il cui scopo è ingenerare “confusione” così da legittimare una “scelta personale” di appartenenza, che superi l’oggettività della differenza sessuale. In quanto tale, non ha nulla a che fare con la medicina

ART.4 – E’ deontologicamente molto più significativa la precedente formulazione, eventualmente integrata nel modo seguente: “Il medico nell’esercizio della professione deve attenersi alle conoscenze scientifiche e ispirarsi ai valori etici della professione, assumendo come principio il rispetto della vita, della salute fisica e psichica, della dignità e della libertà  ed autonomia individuale, anche quando …” Il testo proposto è in profonda contraddizione con l’articolo 3: l’esercizio professionale NON è primariamente “FONDATO” sui principi di libertà, autonomia e responsabilità individuale, bensì sul principio di “rispetto della vita, della salute fisica e psichica” che rappresentano lo sfondo entro cui affermare e coniugare i principi di libertà, autonomia e responsabilità individuale.

ART. 5 – Ultimo capoverso: “… al fine di garantire alle generazioni future la fruizione di un ambiente vivibile, in cui LA VITA, e la salute individuale e collettiva siano fondamento e finalità primaria di crescita civile e moltiplicatore di risorse umane” Perché estromettere la VITA laddove si afferma un “fondamento e finalità”?

ART. 8 – “Il medico … DEVE prestare soccorso o cure d’urgenza …” E’ ingiustificabile – nella stesura di un Codice Deontologico – la completa cancellazione del DOVERE!

ART. 13 – Si suggerisce di riportare il precedente testo, V e VI capoverso, completi : “Sono vietate l’adozione e la diffusione di terapie e di presidi diagnostici non provati scientificamente …. ecc.

In nessun caso il medico dovrà accedere a richieste del paziente in contrasto con i principi di scienza e coscienza …”

Inoltre, l’ultimo capoverso, che cita “pratiche diagnostiche e curative non supportate da adeguata sperimentazione e documentazione tecnico-scientifica ..” appare difficilmente coerente con quanto dichiarato all’ART.15, inerente le terapie “non convenzionali”.

ART. 16 – “Il medico, nel rispetto delle volontà espresse dalla persona assistita …”. Si ritiene più adeguata ed idonea la dizione utilizzata e suggerita dall’ art.9 della Convezione di Oviedo sulla Biomedicina: “Il medico, TENENDO CONTO delle volontà espresse .. “. Del resto, in altri articoli dello stesso Codice (ad esempio, art.36) si assume la dizione “tenendo conto”. E’ opportuno mantenere un’omogeneità espressiva.

Ultimo capoverso: appare debole la dichiarazione sul dolore e la palliazione. Si dovrebbe affermare in modo rigoroso che “il controllo del dolore e le cure palliative sono un DIRITTO”

ART. 17 – Sostituzione di “EUTANASIA” con “Trattamenti finalizzati a provocare la morte”.

“Trattamenti” è vago e generico: si deve specificare “trattamenti attivi o omissivi finalizzati a provocare la morte. Si ritiene – comunque – molto più significativo e chiaro mantenere il termine “EUTANASIA”, più efficace nel sottolineare la gravità deontologica della fattispecie in esame (non possiamo mai dimenticarci che si sta scrivendo un codice deontologico!)

ART. 18 – Si propone di aggiungere, alla fine dell’articolo, la dizione: “evitando di provocarne deliberatamente la morte”

ART. 20 – la precedente formulazione era chiara, concisa e puntuale. Si propone di riportarla all’inizio della nuova stesura: “Il medico deve improntare la propria attività professionale al rispetto dei diritti fondamentali della persona”. Si fa notare che la dizione “diritti fondamentali della persona” è riportata in tutti i testi internazionali, dalla Dichiarazione Universale del 1948 in poi, e – quindi – non è per nulla pleonastico affermarla e ribadirla, considerato che proprio sul riconoscimento di questi – uguali ed inalienabili per ogni “membro della famiglia umana” – si “fonda la pace , la giustizia e la libertà” (dal Preambolo della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo).

ART. 20 – “La relazione fra medico e paziente è FONDATA sul rispetto della libertà di scelta ..”

E’ un’affermazione assurda e pericolosa. La relazione di cura ha come componente fondamentale il rispetto della libertà di scelta, ma non è fondata esclusivamente su di essa. Affermare “è fondata” significa dire che l’unica criteriologia di riferimento che legittima la relazione di cura è la libertà di scelta: siamo in pieno clima “contrattualistico”, altro che “alleanza di cura”! L’esaltazione di un principio di autodeterminazione assoluta cancella ogni criteriologia fondativa,  riguardante categorie quali “vita, salute, miglior beneficio possibile, bene comune, condivisione, alleanza, ecc”

Va affermato con chiarezza: libertà di scelta ed autonomia sono valori da proteggere e garantire, ma non possono costituire l’unico fondamento della relazione medico –paziente, dovendo – al contrario – essere coniugati con principi altrettanto deontologicamente “pesanti” e ineludibili, quali “vita, salute, bene comune “ ecc..

Ancora una volta – o si riscrive l’articolo in modo che si definiscano con chiarezza tutti i criteri che fondano la relazione medico-paziente – oppure è assolutamente preferibile mantenere l’edizione precedente dell’art. 20: sintetica, chiara, semplice, completa..

ART. 22Si propone di ritornare alla precedente formulazione, senza modifiche. Le ragioni:

–        è sparita la parola “coscienza”, sostituita da “convincimenti etici”, ma – tanto nel merito, quanto nel contenuto – le due espressioni non sono per nulla sinonimi e il termine “coscienza” fa riferimento ad un concetto che definirei “patrimonio” del pensiero dell’uomo da Socrate ad oggi. Quindi, perché cancellarla ? Anche sul piano del diritto, va sottolineato che il valore “coscienza” è costituzionalmente riconosciuto, affermato e garantito.

–        il “nocumento” deve essere “grave e documentato” , altrimenti si presta ad una soggettiva valutazione per la quale anche “arrivare tardi dal parrucchiere” è “nocumento”

ART. 23Ripetere, senza alcuna modifica, l’ultimo capoverso della precedente edizione: è una precisazione di grande valore deontologico. E’ vero che viene citato nell’art. 39, ma i due contesti non sono sovrapponibili e – comunque – è talmente “pesante” il valore etico-deontologico di una tale affermazione che “repetita juvant”.

ART.35 – E’ molto ambigua la dizione: “ … il medico DEVE DESISTERE dai conseguenti atti diagnostici e/o CURATIVI, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona”. Qualche osservazione è necessaria:

–        ricompare il “DEVE”: è paradossale che il medico “DEVE DESISTERE …” e non “DEVE SOCCORRERE” (art.8, art.37). Si ha la precisa sensazione che il DOVERE E’ NON VIOLARE un eventuale CONSENSO/DISSENSO, piuttosto che il DOVERE DI ATTIVARSI A VANTAGGIO DELLA VITA E DELLA SALUTE del suo paziente;

–        DESISTERE: che cosa significa? Non attivare una terapia? Oppure, interrompere una terapia già in atto? Queste possibili scelte devono essere inquadrate nella cornice definita dal divieto di accanimento terapeutico e di eutanasia;

–        CURATIVI: nel contesto dell’articolo, ci si sarebbe aspettato il termine “TERAPEUTICI”, più coerente ad una possibile evidenza di accanimento da non attivare o da sospendere. Ovvero, l’uso di “curativi” vuole comprendere – senza dichiararlo esplicitamente – le condizioni di sostegno vitale, quale alimentazione e idratazione artificiale? Su quest’ultimo argomento il dibattito bioetico, antropologico, giuridico e medico è tutt’altro che definito e definitivo. Sul piano deontologico, lo è ancor meno: ne consegue l’inopportunità di utilizzare un termine che da un lato non è esatto nel contesto in cui è espresso (il termine corretto è “terapeutici”), dall’altro è ancora oggetto di elaborazione ed approfondimento.

ART. 30 – “ .. il giudizio professionale riguardante l’interesse primario, ovvero la tutela della salute, …” Grave omissione: l’interesse primario è la TUTELA DELLA VITA E DELLA SALUTE! (art.3)

ART. 36 – ritengo che non si possa utilizzare il termine “dichiarazioni anticipate”, in quanto inesistenti; va – quindi – utilizzata la dizione “tenendo conto delle eventuali volontà espresse dalla persona”

ART. 37 – ultimo capoverso: “Se vi è immediato pericolo per la vita del minore …” è stato soppresso: “o grave rischio per la salute del minore”, presente nel testo precedente. Perché? Si pensi alla possibilità che un ritardo nell’ iniziare una terapia  possa irrimediabilmente compromettere una possibile guarigione: non vi sarebbe, da parte del medico, il dovere di “procedere comunque tempestivamente alle cure indispensabili e indifferibili”?

Si propone, quindi, di re-introdurre la dizione “O GRAVE RICHIO PER LA SALUTE del minore”.

ART. 38 – ultimo capoverso: “ … al rispetto della dignità e della qualità della vita, evitando  ..”, integrerei così: “ .. evitando sia ogni azione eutanasica, sia ogni trattamento diagnostico e/o terapeutico futile o non proporzionato”.

ART. 39 – ultimo capoverso: cancellare “tenendo conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento”. Oggi le DAT non esistono. Se verranno riconosciute con apposita legge del Parlamento, sarà la norma di legge stessa a stabilirne il peso operativo.

ART.39 – parte finale, primo capoverso: “ .. al fine di tutelare la salute, la dignità e qualità di vita ..” meglio adottare un’ affermazione più precisa, che non apra ad interpretazioni soggettive sulle opinabili categorie di “qualità” o “dignità”. Pertanto: “ … al fine di TUTELARE LA SALUTE E LA VITA, tenendo conto delle volontà espresse”

ART. 43 – è stato cancellata la dizione “costituisce grave infrazione deontologica, tanto più se compiuta a scopo di lucro”. Perché? Qualche considerazione, a sostegno della proposta di ripeterla “pari-pari” nel nuovo testo:

–        stiamo scrivendo un codice “deontologico” medico e – in quanto tale – al di là della legge dello Stato – l’interruzione della vita del bimbo costituisce un atto che non trova posto nella deontologia medica; la legge lo consente, ma sul piano deontologico è e rimane una “grave infrazione”;

–        le statistiche ci dicono che gli aborti “clandestini”, a scopo di lucro, sono in criminoso aumento: una concreta ragione in più per stigmatizzare con forza una pratica deontologicamente inaccettabile e da condannare

ART. 44 – Secondo capoverso, è stata cancellata “la coppia”, lasciando intendere – in modo indiretto e surrettizio – che la PMA possa essere fruibile anche da parte di “single”. Inoltre, la legge 40 parla sempre di “coppia”. Pertanto si propone di re-scrivere: “il medico prospetta alla COPPIA le opportune soluzioni ..”

ART. 44 – E’ stato cancellato l’intero capoverso che- iniziando con l’affermazione “E’ fatto divieto al medico, anche nell’interesse del bene del nascituro ..” – elencava le condizioni che la stessa legge 40 esclude. Perché? Non si risponda che è perché lo dice già la legge: se si assume questo parametro, non ha senso lo stesso Codice Deontologico che – proprio in quanto tale – deve sottolineare le condizioni “non deontologiche” dell’agire medico, al di là della legge. Altrimenti basterebbe scrivere: “Il medico si attiene alle leggi”.

Inoltre è “deontologicamente” importantissimo sottolineare che, accanto al desiderio/interesse della coppia di avere il bimbo in braccio, è in gioco anche il BENE DEL NASCITURO, che assai difficilmente potrebbe configurarsi nei punti a), b), c) e d) .

Pertanto, si chiede di mantenere tutto quanto era ben espresso nella stesura del 2006 art.44.

ART. 44 – Ove si affronta il tema della “obiezione di coscienza” è – ancora una volta – molto più chiara, semplice, efficace la precedente dizione: “Sono fatte salve le norme in materia di obiezione di coscienza”. Non si deve dimenticare l’ampia e dettagliata disamina che il Comitato Nazionale di Bioetica ha fatto sul tema dell’obiezione di coscienza: diritto costituzionalmente fondato e principio di concreata civiltà democratica

ART. 45 – E’ utile specificare che non sono ammessi “interventi” sulle cellule della linea germinativa. Inoltre è fondamentale – proprio in questo ambito – affermare che ogni intervento sul genoma umano deve essere autorizzato dal Comitato Etico e avere basi scientifiche biomediche assolutamente chiare e consolidate, evitando ogni deriva di sperimentazione manipolativa e di “eugenetica”

ART. 48 – il principio di salvaguardia della vita, dell’integrità psicofisica e della dignità della persona è INDEROGABILE: perché è stato cancellato? Va re-introdotto (Vedi art.3 Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo; Trattato di Lisbona – 2009- per l’ Unione Europea) .

ART. 53 – In caso di “anoressia” si può dire con sufficiente sicurezza che “la persona è consapevole delle possibili conseguenze della propria decisione”? Non ci viene il dubbio che il quadro psicopatologico che sta alla base della malattia non implichi anche un “disturbo” di critica della  consapevolezza stessa?

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http://www.fiamc.org/news/nuovo-codice-deontologia-medica-italia/