Breve storia del luogo dove abita il Papa. Alle origini di Santa Marta
L’Osservatore Romano
(Pedro Aliaga Asensio) Il nome di quella che ormai è la “casa del Papa” risale alla chiesa e casa adiacente, prima ospedale, tra il 1538 e il 1726, poi convento dei Trinitari, tra il 1726 e il 1874. Santa Marta che «fa lume a San Pietro» (secondo il vecchio detto dei romani) sorse sotto il pontificato di Paolo III, quando alcuni domestici dei Palazzi Apostolici chiesero e ottennero dal Papa l’erezione di una Confraternita e di un piccolo ospedale per i più poveri infermi palatini, nei pressi della basilica vaticana.
Papa Farnese acconsentì e con il breve Ad Apostolicae dignitatis apicem (1538) eresse l’ospedale con annessi cappella e cimitero, intitolati a santa Marta, retro tribunam novam Basilicae Principis Apostolorum de Urbe. La chiesa venne edificata nel corso del Cinquecento, e Clemente VIII la ampliò agli inizi del Seicento. Tra le opere d’arte sacra ivi custodite, occorre ricordare il veneratissimo Crocifisso in terracotta, opera di Alessandro Algardi, e il dipinto raffigurante Santa Marta, realizzato da Giovanni Baglione, portato alla Pinacoteca Vaticana nel 1841 e sostituito da un altro, opera di Filippo Agricola.
Agli inizi del Settecento, il piccolo ospedale versava nell’abbandono quasi completo. Lo spagnolo fra’ Michele di San Giuseppe, procuratore generale dei Padri Trinitari Scalzi — più tardi vescovo di Guadix in Andalusia — chiese e ottenne da Benedetto XIII la chiesa e la casa di Santa Marta al Vaticano. Con un breve datato 11 dicembre 1726, il complesso veniva affidato ai Padri Trinitari Scalzi della Congregazione di Spagna «per servirsene d’ospitio commune per li religiosi ospiti di qualunque natione dello stesso Ordine che verranno in questa Città di Roma», con la raccomandazione che gli infermi del Sacro Palazzo Apostolico dovranno andare a «l’ospedale de Bonfratelli».
Il giorno dopo, i Padri Trinitari spagnoli del convento di San Carlino alle Quattro Fontane presero possesso della nuova Fondazione. Nel 1728, il Capitolo Generale decise che Santa Marta passasse a far parte della Provincia italiana, intitolata a San Giovanni de Matha.
Santa Marta al Vaticano non era considerata casa ma ospizio, nome che i Trinitari davano alle comunità formate da pochi religiosi. Infatti, nel 1733 sappiamo che erano sei i frati che vi dimoravano. Pio VI scelse alcuni dei suoi confessori tra i frati di Santa Marta. Il più noto fu proprio l’ultimo, Padre Girolamo di San Giacomo (Jacopo Malachia Fantini, Livorno 1734 — Roma 1801), che accompagnò fedelmente Papa Braschi nell’esilio fino alla sua morte, avvenuta a Valence il 29 agosto 1799.
Malgrado le soppressioni degli ordini religiosi durante la Repubblica Romana e la dominazione napoleonica, a Santa Marta restò sempre un religioso trinitario, padre Giovanni di Gesù e Maria (Brunetti), che per quaranta anni curò il culto della chiesa, vestendo talvolta gli abiti dei sacerdoti secolari.
Il procuratore generale dei frati spagnoli, essendo i trinitari scalzi italiani quasi estinti, ottenne l’amministrazione di Santa Marta, mediante decreto della Congregazione dei vescovi e regolari del 24 agosto 1819. La chiesa e la casa versavano in condizioni disastrose e padre Antonio del beato Simone de Rojas, ministro di San Carlino, fece il restauro con una spesa di quattrocento scudi romani. Nel 1830, Pio VIII concesse il possesso perpetuo di Santa Marta ai Trinitari Scalzi italiani, infatti, nell’aprile di quell’anno il nominato superiore, padre Pietro della Misericordia ne ricevette le chiavi.
Per un breve periodo i frati lasciarono Santa Marta alle Maestre Pie Trinitarie, dette oggi Suore Trinitarie di Roma. Nel 1856, suor Filomena dell’Incarnazione, superiora della Casa e scuola di Subiaco, chiese l’uso di Santa Marta al Definitorio Generale dell’Ordine, con lo scopo di aprire una scuola. Il 17 settembre di quell’anno, il Definitorio acconsentì, dietro accordo di pagare una libbra di cera all’Ordine ogni anno, il giorno della festa di santa Marta.
Nel 1858 le Suore Trinitarie iniziarono a vivere a Santa Marta; la casa dipendeva da quella di Subiaco. Due anni dopo dovettero abbandonarla per mancanza di mezzi di sussistenza, anche se ebbero un notevole successo vocazionale. Erano, infatti, dieci suore, tre novizie e due postulanti. Subito dopo subentrarono di nuovo i frati.
In seguito all’abolizione degli Ordini Religiosi in Roma del 1873, i Padri Trinitari abbandonarono definitivamente Santa Marta. L’ultimo presidente della comunità vaticana fu padre Anastasio di San Filippo Neri e il 21 luglio 1874 Santa Marta tornò tra le «assolute proprietà» dei Palazzi Apostolici essendo data in uso al vicino Seminario Vaticano.
I padri Trinitari Scalzi, però, tornarono nei pressi della basilica vaticana nel 1883, quando fondarono una comunità presso la chiesa di Santo Stefano degli Abissini, dove rimasero fino al 31 agosto 1919. Gli spazi che occupavano furono destinati al Pontificio Collegio Etiopico.
L’Osservatore Romano, 29 gennaio 2016
Papa Farnese acconsentì e con il breve Ad Apostolicae dignitatis apicem (1538) eresse l’ospedale con annessi cappella e cimitero, intitolati a santa Marta, retro tribunam novam Basilicae Principis Apostolorum de Urbe. La chiesa venne edificata nel corso del Cinquecento, e Clemente VIII la ampliò agli inizi del Seicento. Tra le opere d’arte sacra ivi custodite, occorre ricordare il veneratissimo Crocifisso in terracotta, opera di Alessandro Algardi, e il dipinto raffigurante Santa Marta, realizzato da Giovanni Baglione, portato alla Pinacoteca Vaticana nel 1841 e sostituito da un altro, opera di Filippo Agricola.
Agli inizi del Settecento, il piccolo ospedale versava nell’abbandono quasi completo. Lo spagnolo fra’ Michele di San Giuseppe, procuratore generale dei Padri Trinitari Scalzi — più tardi vescovo di Guadix in Andalusia — chiese e ottenne da Benedetto XIII la chiesa e la casa di Santa Marta al Vaticano. Con un breve datato 11 dicembre 1726, il complesso veniva affidato ai Padri Trinitari Scalzi della Congregazione di Spagna «per servirsene d’ospitio commune per li religiosi ospiti di qualunque natione dello stesso Ordine che verranno in questa Città di Roma», con la raccomandazione che gli infermi del Sacro Palazzo Apostolico dovranno andare a «l’ospedale de Bonfratelli».
Il giorno dopo, i Padri Trinitari spagnoli del convento di San Carlino alle Quattro Fontane presero possesso della nuova Fondazione. Nel 1728, il Capitolo Generale decise che Santa Marta passasse a far parte della Provincia italiana, intitolata a San Giovanni de Matha.
Santa Marta al Vaticano non era considerata casa ma ospizio, nome che i Trinitari davano alle comunità formate da pochi religiosi. Infatti, nel 1733 sappiamo che erano sei i frati che vi dimoravano. Pio VI scelse alcuni dei suoi confessori tra i frati di Santa Marta. Il più noto fu proprio l’ultimo, Padre Girolamo di San Giacomo (Jacopo Malachia Fantini, Livorno 1734 — Roma 1801), che accompagnò fedelmente Papa Braschi nell’esilio fino alla sua morte, avvenuta a Valence il 29 agosto 1799.
Malgrado le soppressioni degli ordini religiosi durante la Repubblica Romana e la dominazione napoleonica, a Santa Marta restò sempre un religioso trinitario, padre Giovanni di Gesù e Maria (Brunetti), che per quaranta anni curò il culto della chiesa, vestendo talvolta gli abiti dei sacerdoti secolari.
Il procuratore generale dei frati spagnoli, essendo i trinitari scalzi italiani quasi estinti, ottenne l’amministrazione di Santa Marta, mediante decreto della Congregazione dei vescovi e regolari del 24 agosto 1819. La chiesa e la casa versavano in condizioni disastrose e padre Antonio del beato Simone de Rojas, ministro di San Carlino, fece il restauro con una spesa di quattrocento scudi romani. Nel 1830, Pio VIII concesse il possesso perpetuo di Santa Marta ai Trinitari Scalzi italiani, infatti, nell’aprile di quell’anno il nominato superiore, padre Pietro della Misericordia ne ricevette le chiavi.
Per un breve periodo i frati lasciarono Santa Marta alle Maestre Pie Trinitarie, dette oggi Suore Trinitarie di Roma. Nel 1856, suor Filomena dell’Incarnazione, superiora della Casa e scuola di Subiaco, chiese l’uso di Santa Marta al Definitorio Generale dell’Ordine, con lo scopo di aprire una scuola. Il 17 settembre di quell’anno, il Definitorio acconsentì, dietro accordo di pagare una libbra di cera all’Ordine ogni anno, il giorno della festa di santa Marta.
Nel 1858 le Suore Trinitarie iniziarono a vivere a Santa Marta; la casa dipendeva da quella di Subiaco. Due anni dopo dovettero abbandonarla per mancanza di mezzi di sussistenza, anche se ebbero un notevole successo vocazionale. Erano, infatti, dieci suore, tre novizie e due postulanti. Subito dopo subentrarono di nuovo i frati.
In seguito all’abolizione degli Ordini Religiosi in Roma del 1873, i Padri Trinitari abbandonarono definitivamente Santa Marta. L’ultimo presidente della comunità vaticana fu padre Anastasio di San Filippo Neri e il 21 luglio 1874 Santa Marta tornò tra le «assolute proprietà» dei Palazzi Apostolici essendo data in uso al vicino Seminario Vaticano.
I padri Trinitari Scalzi, però, tornarono nei pressi della basilica vaticana nel 1883, quando fondarono una comunità presso la chiesa di Santo Stefano degli Abissini, dove rimasero fino al 31 agosto 1919. Gli spazi che occupavano furono destinati al Pontificio Collegio Etiopico.
L’Osservatore Romano, 29 gennaio 2016
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http://www.fiamc.org/health-care/hospitals/sito-dispensario-santa-marta/