Attualità dell’enciclica Humanae vitae alla luce della Laudato sì
Il titolo del congresso mondiale della Federazione Internazionale delle Associazioni dei Medici Cattolici, FIAMC, svolto in Croazia a Zagabria dal 30 maggio al 2 giugno di quest’anno 2018, Santità della vita e professione medica, dall’Humanae vitae alla Laudato sì, mette in relazione l’enciclica del beato Paolo VI del 25 luglio 1968, della quale si festeggia quest’anno il cinquantenario, e quella di papa Francesco.
Lo stesso santo Padre nel discorso tenuto in occasione dell’udienza concessa il 28 maggio 2018 ai rappresentanti della FIAMC, dando chiare indicazioni per le attività dei medici cattolici, ha fatto un riferimento esplicito proprio al paragrafo 27 dell’enciclica Humanae vitae nel quale il beato Paolo VI, dopo considerazioni più generali sulla finalità del matrimonio, si rivolge direttamente ai medici e al personale sanitario: “Abbiamo in altissima stima i medici e i membri del personale sanitario ai quali, nell’esercizio della loro professione, più di ogni interesse umano, stanno a cuore le superiori esigenze della loro vocazione cristiana. Perseverino dunque nel promuovere in ogni occasione le soluzioni, ispirate alla fede e alla retta ragione, e si sforzino di suscitarne la convinzione e il rispetto nel loro ambiente Considerino poi anche come proprio dovere professionale quello d’acquistare tutta la scienza necessaria in questo delicato settore, al fine di poter dare agli sposi che li consultano i saggi consigli e le sane direttive, che questi da loro a buon diritto aspettano” (HV, 27).
La citazione della Humanae vitae da parte di papa Francesco e l’accostamento tra le due encicliche non devono meravigliare, poiché tutte e due interpretano la realtà – l’una la natura umana, l’altra la natura e in particolare l’ambiente naturale – alla luce della teologia della creazione, con il riconoscimento di un ordine naturale voluto da Dio e hanno un terreno comune: non è possibile, infatti, ignorare il collegamento, se non la interazione, tra il modo in cui l’uomo si relaziona con il proprio corpo e con la propria natura, creata a immagine e somiglianza di Dio, da una parte, e con l’ambiente e con la natura esterna concepita come creato, dall’altra.
L’enciclica Laudato sì dichiara, infatti: “Per la tradizione giudeo-cristiana, dire ‘creazione’ è più che dire natura, perché ha a che vedere con un progetto dell’amore di Dio, dove ogni creatura ha un valore e un significato. La natura viene spesso intesa come un sistema che si analizza, si comprende e si gestisce, ma la creazione può essere compresa solo come un dono che scaturisce dalla mano aperta del Padre di tutti” (LS, 76). Il principio secondo il quale “La creazione appartiene all’ordine dell’amore. L’amore di Dio è la ragione fondamentale di tutto il creato” (LS, 77) vale non solo per l’ambiente ma anche per ogni essere umano: “La Bibbia insegna che ogni essere umano è creato per amore, fatto ad immagine e somiglianza di Dio (cfr Gen 1,26)” (LS, 65). L’affermazione che “ogni essere umano è creato per amore” è in perfetta linea con l’Humanae vitae quando afferma: “L’amore coniugale rivela massimamente la sua vera natura e nobiltà quando è considerato nella sua sorgente suprema, Dio, che è ‘Amore’, che è il Padre ‘da cui ogni paternità, in cielo e in terra, trae il suo nome’” (HV, 8).
Papa Francesco ricorda che “«il libro della natura è uno e indivisibile» e include l’ambiente, la vita, la sessualità, la famiglia, le relazioni sociali, e altri aspetti. Di conseguenza, «il degrado della natura è strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana» (Benedetto XVI, Caritas in Veritate, 51). […] Anche l’ambiente sociale ha le sue ferite. Ma tutte sono causate in fondo dal medesimo male, cioè dall’idea che non esistano verità indiscutibili che guidino la nostra vita, per cui la libertà umana non ha limiti” (LS, 6). Gli stessi principi devono regolare il rapporto dell’uomo con l’ambiente, con la famiglia e la sessualità, e il mancato riconoscimento dei limiti che essi implicano, in nome di una concezione della libertà che si basa sul rifiuto di “verità indiscutibili” e quindi sul relativismo morale, è responsabile delle ferite dell’ambiente sociale e naturale.
Accettare il proprio corpo come dono di Dio, e quindi soggetto all’ordine morale, costituisce il presupposto di un corretto rapporto con l’ambiente: “L’accettazione del proprio corpo come dono di Dio è necessaria per accogliere e accettare il mondo intero come dono del Padre e casa comune; invece una logica di dominio sul proprio corpo si trasforma in una logica a volte sottile di dominio sul creato. Imparare ad accogliere il proprio corpo, ad averne cura e a rispettare i suoi significati è essenziale per una vera ecologia umana” (LS, 155). Anche l’Humanae vitae sostiene che sul suo corpo “l’uomo non ha un dominio illimitato” (HV, 13) e denuncia che il mancato rispetto delle leggi divine e naturali porta a forme di sfruttamento e di dominazione dell’altro o della natura, un pericolo aumentato con i progressi della scienza e della tecnica, e riconosce “che l’uomo ha compiuto progressi stupendi nel dominio e nell’organizzazione razionale delle forze della natura, così che si sforza di estendere questo dominio al suo stesso essere globale; al corpo, alla vita psichica, alla vita sociale, e perfino alle leggi che regolano la trasmissione della vita” (HV, 2). L‘Humanae vitae afferma così il valore della dimensione personale e della dignità dell’uomo nei confronti dei tentativi di subordinarle a quello che papa Francesco nell’enciclica Laudato sì ha definito come “paradigma tecnocratico” (Cfr. LS, 106-110).
Il rispetto delle leggi divine e naturali richiede autocontrollo, che spesso non è possibile se non a costo di sforzi e sacrifici. Paolo VI riconosce che certe norme etiche “non possono essere osservate senza sacrifici talvolta eroici” (HV, 3), ma per papa Francesco “è giunto il momento di prestare nuovamente attenzione alla realtà con i limiti che essa impone, i quali a loro volta costituiscono la possibilità di uno sviluppo umano e sociale più sano e fecondo” (LS, 116). Tutte e due le encicliche riconoscono che norme etiche e limiti richiedono rinunce e sacrifici, ma d’altra parte aiutano a comprendere il fine autentico dell’uomo e a realizzarlo, aldilà di soddisfazioni effimere.
Dott. Ermanno Pavesi
Membro della Presidenza FIAMC