“And she brought forth her firstborn son, and wrapped him in swaddling clothes, and laid him in a manger” (Luke 2:7)
Every year, the “parable” of the crib is offered to us to renew our faith in the light of the Nativity: and we are happy to take back the vision we has when children to contemplate the Most High who became small, in order to be loved by us, to “let himself be embraced by us” as Pope Francis says.
At the same time this “parable” of Bethlehem puts the spotlight on another center of attention, that of the shepherds, that of the excluded, that of the people who are not “politically correct”, those whom we do not want. They are the ones who find themselves «wrapped in the light of the Most High». It was not Pope Francis who first told us to open our eyes and our hearts to “the peripheries”, the migrants, the destitute of all kinds. It is there, this call, from the beginning, from Bethlehem.
“The people walking in darkness have seen a great light; on those living in the land of deep darkness a light has dawned” (Isaiah 9:1). proclaimed the Prophet Isaiah. God was sought in the Temple, the Great Ceremonies, the processions, the immolation of thousands of lambs on the Altar of Sacrifices. And here He is, manifesting himself in a different way, because He is the “Wholly Other”. What we value – money, bank account, possessions, beautiful home, expensive entertainment tourism, credentials, diplomas, greetings, honorary doctorates, academic titles – all this is just verbiage, futility, even sin in His eyes. The Lord looks at one thing: our heart, what we truly are, when all the masks fall, and we reveal ourselves to Him in our weakness, but also in our deep desire to do good.
At Christmas, in the Child, the Lord, the Most High, opens his arms to us, welcomes us, frees us from our mists and shadows, if we so choose, if we accept it sincerely. He tells us that evil, darkness, our compromises, our inner demons, our narrowness, our skepticism, our disillusionment, all this has nothing irremediable, all this can dissipate like mist in the sun, if we let ourselves be touched by “His grace”.
“For the grace of God our Savior has appeared to all men” (Tit 2:11). It manifested itself in the Light that enveloped the shepherds, it manifested itself in the Child who reaches out to us. It comes to renew everything, to give back joy to wounded hearts, hope to the blasé, innocence to the cynics, energy to the exhausted, to the victims of the “burn out” as we say today.
“Behold, I make all things new” (Revelation 21:5), says the Lord. Christmas tells us this newness, this eternal newness of the Faith. Christmas is not a «beautiful book of images», something a little outdated, of the past, of childhood, that one preserves by tradition, or even a somewhat soppy image of a belittled deity that is reduced to our scale level, so that he is easier to accept. No, it is a renewed invitation to open our eyes, to come out of our shadows, to dispel our mists, to regain energy and optimism, to remove our pride and defenses, to leave our internal prisons, to open ourselves up once again.
“ The people walking in darkness have seen a great light; on those living in the land of deep darkness a light has dawned” Isiah 9:1). There is some darkness in the medical profession. There are difficult days, moments when one loses one’s illusions, moments when one hardens to resist sadness, cynicism, skeptical doubt. Christmas comes to wake us up, Christmas comes to tell us that good is possible, that the service we render is not useless, that there is good in the world, despite appearances, that the call we feel in our hearts to do good, to spend ourselves, once again, without hope of a return, is right. An appeal to let us be, once again, “wrapped in the Light”, to believe, to hope, to give. To take one more step, then another, towards Him, towards Holiness, towards Truth.
In this Christmas season, which is especially hard for the sick, the isolated, those at the end of their lives and those who accompany them, while everyone seems to rejoice and celebrate, let us renew our hearts, let us allow light to enter into it, so that we too may become bearers of light. Light for our sick, our marginalized, our vulnerable, those who expect from us a word of comfort, sympathy and solidarity. Let us do it in the name of the Child who opens his arms to us.
“May we not wait for our neighbours to be good before we do good to them, for the Church to be perfect before we love her, for others to respect us before we serve them. Let us begin with ourselves” (Pope Francis, Mass of the night, Christmas 2019).
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«Diede alla luce il suoi figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia”(Lc 2,7)
Ogni anno, la «parabola» del presepio ci viene offerta per rinnovare la nostra fede alla luce della Natività: e siamo felici di riprendere la nostra visione di bambini per contemplare l’Altissimo che si è fatto piccolo, per essere amato da noi, per «lasciarsi abbracciare da noi» come dice Papa Francesco.
Nello stesso tempo questa «parabola» di Betlemme mette il proiettore su un altro polo, quello dei pastori, quello degli esclusi, quello delle persone che non sono «politicamente corrette», quelli di cui non si vuole. Sono loro che si ritrovano «avvolti dalla luce dell’Altissimo». Non è stato Papa Francesco a dirci, il primo, di aprire i nostri occhi e il nostro cuore su «le periferie», i migranti, i diseredati di ogni tipo. Si trova qui, questa chiamata, fin dall’inizio, da Betlemme. «a coloro cha abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse» (Is 9,1) annunciava il Profeta Isaia. Si cercava Dio nel Tempio, le Grandi cerimonie, le processioni, l’immolazione di migliaia di pecore sull’Altare dei sacrifici. Ed ecco che si manifesta diversamente, perché Egli è il «Tutto altro». Ciò che ha valore per noi è il denaro, il conto in banca, le possessioni, la bella casa, il costoso turismo di intrattenimento, i titoli, i diplomi, i saluti , le distinzioni– tutto questo è solo verbosità, futilità, se non peccato ai Suoi occhi. Il Signore vede una cosa: il nostro cuore, ciò che siamo in verità, quando tutte le maschere cadono, e ci riveliamo a Lui nella nostra debolezza, ma anche nel nostro profondo desiderio di fare il bene.
A Natale, nel Bambino, il Signore, l’Altissimo, ci apre le braccia, ci accoglie, ci libera dalle nostre nebbie e dalle nostre ombre, se lo vogliamo, se lo accettiamo sinceramente. Egli ci dice che il Male, l’Oscurità, i nostri compromessi, i nostri demoni interiori, le nostre angustie, il nostro scetticismo, le nostre disillusioni, tutto ciò non ha nulla di irrimediabile, tutto può dissiparsi come nebbia al sole, se ci lasciamo toccare da «Sua grazia».
«È apparsa infatti la grazia di Dio» «apportatrice di salvezza per tutti gli uomini» (Tt 2,11). Si è manifestata nella Luce che avvolgeva i pastori, si è manifestata nel Bambino che ci tende le braccia. Viene a rinnovare tutto, a ridare gioia ai cuori feriti, speranza ai disincantati, innocenza ai cinici, energia agli esauriti, vittime del «burn out» come si dice oggi.
«Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Apocalisse 21,5) dice il Signore. Natale ci dice questa novità, questa eterna novità della Fede. Il Natale non è «un bel libro d’immagini», qualcosa di un po’ antiquato, del passato, dell’infanzia, che si conserva per tradizione, se non addirittura un’immagine un po’ sdolcinata di una divinità sminuita alla nostra scala, perché sia più facile da accettare. No, è un invito rinnovato a riaprire gli occhi, uscire dalla nostra ombra, allontanare le nostre nebbie, riprendere energia e ottimismo, allontanare la nostra superbia e le nostre difese, uscire dalle nostre prigioni interne, aprirci, ancora una volta.
“Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse»(Is.9,1). C’è oscurità nella professione medica. Ci sono giorni difficili, momenti in cui si perdono le proprie illusioni, momenti in cui ci si irrigidisce per resistere alla tristezza, al cinismo, al dubbio scettico. Natale viene a svegliarci, Natale viene a dirci che il bene è possibile, che il servizio che rendiamo non è inutile, che c’è del bene, del bello e del buono nel mondo, nonostante le apparenze, che l’appello che sentiamo nel cuore a fare del bene, a spenderci, ancora una volta, senza speranza di ritorno, è giusto. Una chiamata a lasciarci di nuovo «avvolgersi di luce», per credere, sperare, dare. Fare ancora un passo, poi un altro passo, verso di Lui, verso la Santità, verso la Verità.
In questo tempo di Natale particolarmente duro per i malati, gli isolati, coloro che sono in fine di vita e coloro che li accompagnano, mentre tutti intorno sembrano gioire e far festa, rinnoviamo il nostro cuore, Lasciamo entrare la luce nel cuore, per diventare a nostra volta portatori di luce. Luce per i nostri malati, i nostri esclusi, i nostri vulnerabili, coloro che si aspettano da noi una piccola parola di conforto, di simpatia, di solidarietà. Facciamolo nel nome del Bambino che apre le braccia verso di noi.
“ Non aspettiamo che il prossimo diventi bravo per fargli del bene, che la Chiesa sia perfetta per amarla, che gli altri ci considerino per servirli. Cominciamo noi.” (Papa Francesco, messa della notte, Natività 2019).
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« Elle mit au monde son fils premier né, elle l’emmaillota et le coucha dans une mangeoire »(Lc 2,7)
Chaque année, la « parabole » de la crèche nous est offerte pour renouveler notre foi à la lumière de la Nativité : et nous somme heureux de reprendre notre vision d’enfant pour contempler le Très Haut qui s’est fait petit, pour être aimé de nous, pour « se laisser embrasser par nous » comme dit le Pape François.
En même temps cette « parabole » de Bethlehem met le projecteur sur un autre pôle, celui des bergers, celui des exclus, celui des gens qui ne sont pas « politiquement correct », ceux dont on ne veut pas. Ce sont eux qui se retrouvent « enveloppés de la lumière du Très Haut ». Ce n’est pas le Pape François qui nous a dit, le premier, d’ouvrir nos yeux et notre cœur sur « les périphéries », les migrants, les déshérités de toute sorte. Il est là, cet appel, dès le départ, dès Bethlehem. « Sur les habitants des pays de l’ombre, une lumière a resplendi » (Is 9,1) annonçait le Prophète Isaïe. On cherchait Dieu dans le Temple, les Grandes cérémonies, les processions, l’immolation de milliers de brebis sur l’Autel des Sacrifices. Et le voilà qui se manifeste autrement, parce qu’Il est le « Tout autre ». Ce qui a de la valeur à nos yeux – l’argent, le compte en banque, les possessions, la belle maison, le couteux tourisme de divertissement, les titres, les diplômes , les salutations, les doctorats « honoris causa », les titres académiques – tout cela n’est que du verbiage, de la futilité, si ce n’est du péché à Ses yeux. Le Seigneur voit une chose : notre cœur, ce que nous sommes en vérité, quand tous les masques tombent, et que nous nous révélons à Lui dans notre faiblesse, mais aussi dans notre désir profond de faire le bien.
A Noël, dans l’Enfant, le Seigneur, le Très Haut, nous ouvre les bras, nous accueille, nous libère de nos brouillards et de nos ombres, si nous le voulons bien, si nous l’acceptons sincèrement. Il nous dit que le Mal, les Ténèbres, nos compromissions, nos démons intérieurs, nos étroitesses, notre scepticisme, nos désillusions, tout cela n’a rien d’irrémédiable, tout cela peut se dissiper comme brume au soleil, si nous nous laissons toucher par « Sa grâce ».
« La grâce de Dieu est apparue » elle s’est « manifestée pour le salut des hommes » (Tt 2,11). Elle s’est manifestée dans la Lumière qui enveloppait les bergers, elle s’est manifestée dans l’Enfant qui nous tend les bras. Elle vient tout renouveler, redonner de la joie aux cœurs meurtris, de l’espérance aux blasés, de l’innocence aux cyniques, de l’énergie aux épuisés, aux victimes du « burn out » comme on le dit aujourd’hui.
« Voilà que je viens faire toutes choses nouvelles » (Apocalypse 21,5) dit le Seigneur. Noël nous dit cette nouveauté, cette éternelle nouveauté de la Foi. Noël n’est pas « un beau livre d’images », quelque chose d’un peu désuet, du passé, de l’enfance, que l’on conserve par tradition, voire même une image un peu mièvre d’une divinité rabaissée à notre niveau, pour qu’elle soit plus facile à accepter. Non, c’est une invitation renouvelée à rouvrir les yeux, sortir de notre ombre, écarter nos brumes, reprendre de l’énergie et de l’optimisme, écarter notre orgueil et nos défenses, sortir de nos prisons intérieures, nous ouvrir, une fois de plus.
« Le peuple qui marchait dans les ténèbres a vu se lever une grande lumière. Et, sur les habitants du pays de l’ombre une lumière a resplendi »(Is.9,1). Il y a des ténèbres dans la profession médicale. Il y a des jours difficiles, des moments où l’on perd ses illusions, des moments on l’on se durcit pour résister à la tristesse, au cynisme, au doute sceptique. Noël vient nous réveiller, Noël vient nous dire que le bien est possible, que le service que nous rendons n’est pas inutile, qu’il y a du bien, du Beau et du Bon dans le monde, malgré les apparences, que l’appel que nous ressentons dans le cœur à faire le bien, à nous dépenser, encore une fois, sans espoir de retour, est juste. Un appel à nous laisser, à nouveau, « envelopper dans la Lumière », pour croire, espérer, donner. Faire encore un pas, puis un autre pas, vers Lui, vers la Sainteté, vers la Vérité.
En ce temps de Noël qui est particulièrement dur pour les malades, les isolés, ceux qui sont en fin de vie et ceux qui les accompagnent, alors que tout le monde semble se réjouir et faire la fête, renouvelons notre cœur, laissons y entrer de la lumière, afin de devenir à notre tour porteurs de lumière. Lumière pour nos malades, nos exclus, nos vulnérables, ceux qui attendent de nous une petite parole de réconfort, de sympathie, de solidarité. Faisons le au nom de l’Enfant qui ouvre ses bras vers nous. « N’attendons pas que notre prochain devienne bon pour lui faire du bien, que l’Église soit parfaite pour l’aimer, que les autres nous considèrent pour les servir. Commençons les premiers » (Pape François, messe de la Nativité 2019).