BOSCIA : “MESSAGGIO PER LA QUARESIMA E LA PASQUA AL TEMPO DEL COVID-19”
Viviamo questo periodo di Quaresima in strana coincidenza con un particolare “travaglio epocale”, quale quello del timore devastante degli effetti della virosi da COVID-19 e delle restrizioni disposte a cautela.
In un momento in cui la paura, il terrore e il panico possono cogliere tutti noi abbiamo proprio bisogno di ancoraggi per non perderci noi stessi: ancoraggi da vari punti di vista, clinici, sociali, psicologici, pedagogici, di fede e carità.
Non tutti conosciamo la materia, non tutti siamo in grado di fornire consigli e accorgimenti per proteggere noi stessi e gli altri in modo adeguato. Abbiamo il dovere di segnalare la presenza di un pericolo, ma urge far appello alla ragione e forse anche ricordare la fragilità della medicina, che comunque ha necessità di essere sostenuta dalla consapevolezza di tutti i cittadini e anche degli operatori sanitari.
Messaggi mediatici, così fortemente allarmistici, diventano essi stessi virali se non sono dettati dalla massima consapevolezza possibile.
Molte persone e molti medici possono sentirsi travolti dal clima negativo, forse schiacciati dalle notizie ansiogene che ogni giorno si affollano sui media, ma anche su loro stessi medici, ormai diventati parafulmini di un fenomeno di paura di massa e di panico generalizzato.
Io vorrei da presidente dei medici cattolici italiani sostenere la resilienza degli operatori sanitari e dei medici in particolare:
Cari colleghi, non dovete ne potete permettervi di sentirvi coinvolti dal clima negativo, né schiacciati dalle notizie ansiogene che si affollano nella vostra mente, o per le descrizioni apocalittiche di alcuni operatori sanitari “al fronte”, diventati improvvisamente protagonisti ed opinionisti. Occorre prudenza, occorrono anche doti di umiltà.
Queste notizie indeboliscono le vostre risorse interiori, non consentono di rapportare la percezione del rischio in quell’argine, forse ancora instabile ma già opportunamente creato. Riportare il fenomeno di paura di massa nell’alveo di una corretta gestione dell’epidemia è un dovere! Perché la paura o la percezione di impotenza può impedirvi di avvalervi di risorse interiori o di quella resilienza che è la sola a permettervi di resistere alle negatività.
Non facciamoci travolgere dalle percezioni e dalle paure di non farcela. Urge far appello alla ragione e alle responsabilità, e con l’aiuto del Signore dobbiamo lasciar spazio alla speranza. Questa speranza va trasmessa ai nostri assistiti ed ognuno di noi deve lavorare al massimo delle sue forze per non abbandonare nessuno dei nostri assistiti al caso, ma soprattutto per ottimizzare in modo razionale le risorse che ci sono date.
Noi cristiani abbiamo il grande compito di trasmettere la presenza di Dio.
In ognuno di noi Dio è presente: sentirsi nelle mani di Dio è come sentirsi con Dio in ogni momento, cullati e confortati. Il Santo Moscati ci ha rivelato “Ogni minuto è di Dio e ogni minuto è colmo”. “Siamo, viviamo e ci muoviamo per il Signore Dio nostro” dice S. Paolo nel discorso all’Areopago di Atene (Att 17, 28).
Noi dobbiamo sentire la Sua consolazione in ogni momento! Ma sentire e pensare significa pregare.
Vorrei con voi fare qualche riflessione e contestualizzarla, proprio in questi giorni di costrizione, di prudenza, di riservatezza, di isolamento.
Viviamo in questi giorni di Quaresima la vicenda drammatica della passione, e quasi contemporaneamente siamo richiamati ad agire e a riflettere sul coronavirus, ponendoci in penitenza, in purificazione, in isolamento.
La scienza medica parla di quarantena, quasi oggi a volerci rimarcare quel particolare periodo dei 40 giorni vissuti da Gesù nel deserto e nella solitudine, prima di entrare nella sua vita pubblica, nella vita della predicazione, dell’insegnamento e poi nella vita dell’espiazione e del sacrificio.
Possiamo meditare sui tanti nostri 40 giorni, ricordarci i lunghi e solitari giorni della passione, della passione della nostra vita, di solitudine e macerazione, di tristezza e di silenziose paure. Possiamo farlo in un colloquio infinito e sublime nel quale aleggino i superiori sentimenti di fede e carità per cercare di spingere il nostro sguardo in quelle “invisibili cose di Dio” di cui ci parla Luca, quando su sentieri aspri e travagliati, parla di luce, di grazia e di speranza in noi e nelle nostre famiglie.
Occorre ripensare il nostro sistema di vita, fatto di contrapposizioni ideologiche, di volontà, di supremazia e di dominio, di azioni inconsulte, di litigi e di aspri contrasti che sgorgano solo ed esclusivamente dal nostro impeto alla ricerca esclusiva di condizioni e di esperienze conformi con i nostri ideali di benessere individuale, economico, finanziario, collettivo! Occorre frenare quelle autoreferenzialità spinte che costantemente ci disallineano da opportune linee guida e da tutte quelle disposizioni e consigli disposti per il bene collettivo.
Proprio ora in periodi di epidemie, di crisi economiche e di molto altro ancora, occorre ripensare a tutte le ingiustizie sociali, tanto spesso anche da noi create, a tutti i nostri egoismi, alla nostra corsa alla ricerca di modelli nuovi, costruiti dalle nuove filosofie “performanti”, dal capitalismo che tutto riduce a merce, a scarti, a denaro, ad accumulo di ricchezze effimere, ma anche a tutti quegli eventi che hanno comportato default bancario e risparmio tradito.
Smettiamola di inseguire il male, soffocando tra l’altro la speranza dei fragili, dei migranti, dei perseguitati, delle vittime di una giustizia tanto spesso ingiusta.
In questo clima di fragilità e di inquietudini sociali spuntano documenti ideologici, carichi di agghiaccianti direttive su chi accogliere e su chi respingere, su chi curare e su chi non curare (Documento della SIAARTI ai medici).
A quanto pare il diritto di vita dell’anziano passa in secondo ordine rispetto al diritto di dignità di ciascuna vita.
Qualcuno freddamente dice che queste indicazioni sono improntate al realismo, freddamente dice: “C’è poco da fare”, “Non li potremo salvare tutti!” “Siamo impreparati!” “La colpa è di…”
Spuntano nel linguaggio comune i “morti morti” e i “morti ma…”
I “morti ma…” sono gli anziani e si considerano anziane le persone oltre i 60 anni: E’ morto.. ma aveva 70 anni…ma aveva il diabete…ma aveva un handicap. E’ vero che statisticamente l’anziano ha più possibilità di andarsene di un non anziano… ma assolutamente non sino al punto di giustificare quel “ma”.
Quel “ma” vuol dire che qualcuno è meglio di un altro e che bisogna avere preferenza per uno più giovane di te che sei anziano e che, avendo superato i 60 anni, la vita l’hai fatta .
Il Covid-19 ha forse sancito che gli anziani semplicemente “non sono?” E ciò senza nemmeno il decoro di non dirlo? Magari si poteva descrivere l’evento dicendo è morto un signore di tot anni…
E’ il “ma” a turbare, è come se gli si gettasse in faccia la condanna: Non hai il diritto di farcela, anzi, visto che ci siamo, hai proprio il dovere di toglierti di mezzo con precedenza assoluta. Tu sei un “ma” … e via: vai negli scarti!
Forse è giunto il momento per richiamare tutti a vivere, “senza se e senza ma”, i valori della sapienza, della fede e della carità.
Allora questo è proprio il momento propizio! Attiviamoci tutti!
E’ il momento del riconoscimento del “mistero della tomba vuota”, il mistero della Pasqua di Resurrezione, che riepiloga tutti i misteri e ci proietta verso la verità che spesso non riusciamo facilmente a riconoscere.
Cerchiamo la vicinanza continua del Signore, cerchiamo di rigenerarci nella Sua luce, preghiamo per chi non c’è più, per le vittime del contagio, spendiamoci e preghiamo per gli ammalati, per i sofferenti, per le loro famiglie: a loro rivolgo un particolare pensiero di affetto e solidarietà umana e cristiana. Intensa preghiera rivolgo per tutte le vittime. A quanti nella società civile e nelle strutture sanitarie sono in prima linea al servizio della sofferenza e soprattutto della speranza, rivolgo un incoraggiamento ad essere testimoni di misericordia, forti nella fede e nel loro impegno di carità.
Cerchiamo la presenza di Dio nel mondo per non cadere nel buio che si fa reale nell’ora del pericolo: quando la luce si attenua e non è più molto chiara là compaiono le nostre cadute, là siamo incapaci di riconoscere le pietre di inciampo, là ci ritroviamo con le nostre fratture e i nostri dolori.
Tra breve sarà annunziato il Cristo Risorto! Cerchiamo di trovare nella palude delle cose empiriche, nella disgrazia, nel dolore e nella paura le vie della speranza, cerchiamo di rafforzare in noi le energie e il coraggio per dare letizia alla vita.
Cerchiamo di prepararci alla grande vittoria, di uscire dal baratro e di conformarci all’annuncio della grande misericordia! Cerchiamo anche di inseguire quel pianto liberatorio che ci consenta di amare tutti con pienezza e speranza e al contempo vivere nel gaudio e in letizia fortificati dalla resurrezione.
A tutti desidero augurare una serena Santa Pasqua, da vivere, in pienezza di gioia, con le vostre famiglie.
Roma, 10 Marzo 2020
Prof. Filippo M. Boscia
Presidente Nazionale AMCI
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