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FILIPPO MARIA BOSCIA (Presidente Nazionale AMCI, medici cattolici italiani) – Pensavamo fosse un’epoca di cambiamento, di semplice variazione delle abitudini e degli stili di vita degli stili di vita! Viceversa siamo in un vero e proprio cambiamento d’epoca! Tante abitudini sono state mutate di fronte alle provocazioni del mondo, tanto da non consentire adeguamenti ed adattamenti al vorticoso fluire della storia.
I riti di passaggio: vivere, soffrire e morire, sono stati completamente scomposti. E’ come se ci fosse stato un moltiplicatore di possibilità che hanno agito sul nascere e sul morire, determinando imprevedibili mutazioni demografiche, mai previste o rilevate in modo corretto da coloro che per ruoli e funzioni avrebbero dovuto tener presente questi mutamenti per adeguatamente programmare una sanità pubblica e privata a misura d’epoca.
Profondi mutamenti e cambiamenti hanno interessato la medicina, che è diventata la vera protagonista per gli avanzamenti delle scienze biologiche e delle tecnologie che pian piano hanno reso possibile da un canto l’allungamento della prospettiva di vita, con un consistente rinvio della fase di invecchiamento della popolazione, dall’altro, agendo sul nascere, ha determinato inquietanti, direi paurosi mutamenti, introducendo una incredibile varietà di modi per nascere oggi: più di 200.
L’allungamento delle aspettative di vita e la maggior sopravvivenza sono traguardi resi possibili dai naturali progressi della medicina.
Manipolazioni sull’uomo e contro l’uomo sono state silenziosamente introdotte, creando molte situazioni e generando molte provocazioni che interpellano le relazioni intraumane e interumane.
Completamente rivoluzionata è stata l’antica arte del prendersi cura, che ha avuto come risultato la creazione di una paradossale solitudine del nostro tempo, talora vissuto come forma di violenza nascosta!
Sono in tanti a sentirsi sprofondati in una solitudine sconfinata, a sentirsi più isolati che mai, atteso che i rapporti relazionali restano fugaci, epidermici ed inconsistenti, spesso esasperati da una indifferenza ed insofferenza che collettivamente divide.
Sul fronte del nascere e del rispetto della vita si colloca uno dei problemi più assillanti dell’uomo, che vuole diventare padrone della vita, manipolarla, controllarla, selezionarla e pretenderla, non come dono, ma come diritto.
Il dominio dell’uomo sulla natura sembra orientato piuttosto che verso il bene comune verso il diritto di esprimere le proprie opinioni e i propri multiformi desideri. Mere strumentalità portano alla soddisfazione di desideri e di piaceri.
La programmazione delle nascite è passata dai metodi naturali alla contraccezione, alla contragestazione, alla selezione, mentre le nuove tecnologie extracorporee hanno soppiantato la desueta modalità del nascere per natura, portandoci prima ad ipotizzare e poi a realizzare quella che ormai viene definita filiera riproduttiva con fasi e ritmi di “produzione controllata” o di “riproduzione fotocopia”.
Questi fenomeni, noti alle bioscienze e alla biostatistica, ma anche abbastanza intuibili grazie alla evoluzione del tecnologicamente possibile, interrogano il senso comune e sono all’origine della ben nota evoluzione sociosanitaria, che viaggia velocissima tra desideri, bisogni ed impreviste situazioni, quale quella pandemica che stiamo vivendo e che ci ha trovato sguarniti e impreparati, con strutture inopportunamente potate, sfrondate, soppresse, adeguate al minimo possibile e perciò al momento insufficienti. Siamo in molti a pensare che l’organizzazione complessiva della sanità non può essere razionalizzata al minimo indispensabile, ma deve intravedere anche quegli imprevedibili bisogni, conseguenza di eventi improvvisi, in presenza dei quali oggi ci ritroviamo “in panne”.
In un turbocapitalismo e in una evoluzione tecnologica così accelerata gli studi di settore e la politica avrebbero dovuto prevedere gli eventi e non correre dietro agli eventi.
Dimenticanze? Gravi omissioni?
Nella contemporaneità certamente si rivelano fibrillazioni. V’è un incondizionato attacco alla popolazione anziana ascritta, con sentimenti di sostanziale indifferenza, nel novero di quei pesi dichiarati insostenibili per l’economia di un paese ridotto allo stremo, anche per scorretta allocazione delle risorse. Le gravi difficoltà economiche e finanziarie degli ultimi vent’anni hanno determinato una indiscriminata “potatura” ed una inarrestabile “dieta dimagrante” per molte strutture sanitarie efficienti ed efficaci.
Sono le stesse che oggi purtroppo mancano all’appello e che impediscono di sopportare il peso, direi la valanga della sopraggiunta emergenza pandemica.
Covid o non Covid, comunque sono molte le strutture sanitarie divenute asfittiche! Ovviamente oggi, con grande dolore, dobbiamo dire che non c’è rianimazione che tenga a stabilizzare situazioni di reale inefficienza.
Queste ben note carenze ci hanno fatto entrare in una insostenibile situazione di asfittica sofferenza! Di qui discende il problema dell’ultimo letto e della disumana straziante scelta, imposta da linee guida riparatrici, che comunque recano con se, sempre e comunque, spiacevoli ed ambigue discriminazioni. Ora, in emergenza, vengono tirati in ballo stringenti criteri di appropriatezza/inappropriatezza, fra un tira e molla che incide sulla dignità del vivere e che penalizza i più fragili, i più soli, i più attempati, i più vicini al sicuro destino di morte, quelli che molti politici hanno definito “inutili”, dannosi per l’economia, fruitori di risorse, che andrebbero riassegnati ai sani per migliorare il loro tenore di vita .
Che fine hanno fatto i principi che regolano la nostra Corte Costituzionale (articoli 2-13-32)?
Quale valenza ha la carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea articolo 1-2-3? Si invocano i diritti e le Carte dei diritti, ma questi sono diventati diritti di carta.
E’scandaloso che dopo mesi ancora persista un tragico dilemma che nessuno è in grado di risolvere.
È scandaloso che qualcuno avanzi la proposta di tener presente nelle scelte il solo dato anagrafico senza incidere sulla sostenibilità di un servizio sanitario che, nonostante ampi lassi di tempo, non è stato in grado di sanare disequilibri, ineguaglianze e che si è mostrato strategicamente incapace nel disporre giusta assistenza intensiva e nel garantire interventi effettivamente destinati alla salvaguardia della vita, nel rispetto della dignità della persona, indipendentemente dall’età.
Forse erano in molti a sperare negli effetti della legge sulle disposizioni anticipate di trattamento (DAT), legge che non è mai stata da nessuno opzionata in questa pur letale pandemia.
Molti politici e molti amministratori si auguravano forse di aver fatto breccia nella popolazione, indicando una nuova filosofia di vita per la quale in molti, avrebbero potuto invocare la “non cura per scelta personale”!
Ogni carenza sarebbe stata così sanata.
Invece no! Tutti abbiamo notato che nei momenti cruciali, quando si è al limite tra vita e non vita, tutti desiderano essere assistiti e nessuno arretra o volontariamente si esclude dagli indispensabili percorsi di cura.
Questa opportuna scelta ha evidenziato la inadeguatezza del sistema e tanto è bastato a creare il problema sulla litigiosità dell’”ultimo letto”.
La litigiosità per l’ultimo letto è stata così ben servita e ai medici e non ai politici, sono state assegna le pesanti responsabilità delle scelte, con il rischio di sviluppare sensi di colpa negli operatori sanitari e conseguenze psicologiche per la loro salute mentale.
I medici si ritrovano soli fra loro ad elaborare documenti e a prendere decisioni unilaterali su un campo nel quale la parte politica si ritrova penosamente e colpevolmente assente.
La lodevole azione della FNOMCeO e della SIAARTE, di tentare la stesura di un documento condiviso in tutta rapidità, si svolge nel doloroso colpevole silenzio delle istituzioni, gravemente assenti nel tutelare l’equità e l’uguaglianza delle cure.
Nel documento si parla di criteri di selezione di cura, seppur limitando tale opzione solo in casi di assoluta necessità e emergenza o di urgenza indifferibile e in condizioni occasionali di manifesto squilibrio tra necessità e risorse disponibili.
Emerge da ciò chiaramente la ventilata ipotesi, che ci auguriamo mai avvenga, di legittimare e differenziare le modalità di cura. Siamo in molti ad avvertire, insieme ai componenti la Commissione, un pericolo imminente di ennesime modifiche del codice deontologico, ulteriore vulnus per la professione medica.
La pandemia ci ha fatto scoprire tutti fragili, vulnerabili e ha messo in crisi il nostro delirio di onnipotenza, confermando che certi modelli di economia e di sviluppo generano scarti.
E’ l’ora di elaborare una nuova grammatica di vita, una nuova antropologia, le cui parole sono ascolto, accoglienza, accompagnamento, discernimento, legalità e integrazione delle persone più marginali.
Un’antropologia che faccia degli scartati le nuove pietre angolari con cui ricostruire una vita sociale, altra e alta.
Il tasso di civiltà e di democrazia si misura dal posto che siamo capaci di riservare alle persone più fragili. E’ un obbligo non eludibile della nostra società in un momento in cui le disuguaglianze sono sempre più evidenti. La questione è dunque saper scorgere dentro di noi risorse e fragilità della nostra vita ordinaria, ricercando un equilibrio per sopravvivere e reagire. Non è più tollerabile che in situazioni estreme e a ridosso di eventi straordinari ci si accorga delle evidenti carenze e dei limiti che le strutture messe a disposizione nascondono.
Alla fine di questo anno sciagurato il declino demografico sarà ancor maggiore, atteso il profondo divario tra numero dei morti e numero dei nati, pericolosamente pendente verso i primi. Intanto il virus viaggia indisturbato, mietendo vittime su vittime e costringendoci ad una vita da reclusi, obbligati ad un forzato orrido distanziamento sociale, anche familiare e ad un autoisolamento profilattico. Che fa obbligo soprattutto agli anziani di restare barricati in casi: Lontani dagli affetti più cari, figli e nipoti da tenere a debita distanza. E’ l’unico modo per venirne fuori?
Mi chiedo e vi chiedo: i nostri governanti ci vogliono bene o piuttosto vogliono dissimulare le loro colpose omissioni e le grosse carenze di un sistema sanitario allo sfascio non in grado di assistere né i tanti ma nemmeno quei pochi in più, rispetto ai posti letto disponibili, così tanto limitati?
Di conseguenza alla fine se sei vecchio può essere che ti si preferisca uno più giovane. Senza meraviglia questo è il protocollo di recente firmato riferito alle grandi calamità…Il protocollo lo prevede… e che nessuno protesti!
Così, e non per tirar acqua al mulino, ogni giorno che passa ti accorgi di quanto sia brutta la vecchiaia, quando prima o poi finisce per diventare un peso, oltre che per te stesso anche perché ci dovrebbe stare più accanto. Ma con i ritmi e le difficoltà della vita d’oggi cosa ci si può aspettare? L’unica soluzione è l’ospizio! O strutture a gestione non proprio disinteressata! Tali strutture sono molto diffuse in Puglia, quelle registrate sono ben 800. Ora che la pandemia ha scoperchiato molte pentole, pian pianino ci accorgiamo di tante magagne: Sarà la Magistratura a chiarire i termini e le responsabilità organizzativo-gestionali e a stabilire se le condotte sono state assennate o dissennate.
Di fronte alle provocazioni del mondo cerchiamo di non cedere mai alla violenza dell’uomo sull’uomo. Poniamoci al lavoro con una prospettiva di amore, di rispetto e di tutela, nell’attivare urgenti cambiamenti di generosa collaborazione per il benessere di tutti.
(Opera CARLO FUSCA – Lo sguardo interiore – 2018 – Tecnica mista su carte – 100×70)