Michele Aramini, Figli no grazie? Oltre l’inverno demografico
Ancora, Milano 2023, pp. 168, €. 16,00.
Al di là degli allarmi statistici, del declino conclamato delle grandi potenze demografiche mondiali, delle ricette economiche strutturali per incentivare la natalità, come possiamo guardare il radicale, repentino cambiamento antropologico di questi anni? Come leggere le ragioni psicologiche, sociali, esistenziali che guidano le nuove generazioni? E come ritrovare un profilo etico-filosofico sul destino dell’umanità? Su tutte queste domande riflette il prezioso volume di Michele Aramini, docente di Teologia Morale alla Cattolica di Milano, che (forse anche) da questo importante retaggio pare restituirci un quadro d’insieme più completo, più chiaro, della svolta esistenziale a cui stiamo assistendo. L’humus culturale in cui vivono i giovani oggi – al di là delle visioni e delle paure personali, che sono comunque molto importanti – è quello di una libertà che rivendica sempre nuovi diritti, di una sostanziale privatizzazione delle scelte personali e di una rapida riduzione dei legami sociali e delle comunità di appartenenza.
L’autore parla di “cultura della post durezza”, ovvero di una situazione di benessere generalizzato, pace, allungamento della vita, diminuzione della fatica lavorativa, abbondanza di tempo libero. Tutti questi aspetti, se da un lato contengono un principio di piena realizzazione dell’uomo, dall’altro hanno anche un lato oscuro, antiumanistico, perché assoggettano la condotta della vita all’illusione che le cose debbano essere sempre facili, e che le scelte debbano essere subordinate al principio del piacere. In questa autorealizzazione narcisistica c’è un assottigliamento della dimensione spirituale dell’essere, un materialismo radicale che fa terra bruciata, di relazioni e di progetti a lungo termine. La cultura del dono si sposta su faccende meno impegnative, su relazioni volatili da cui è facile svincolarsi, sull’aperitivo nel dopo lavoro, l’ora di palestra e magari il piccolo, rassicurante “pet” che aspetta a casa, bisognoso solo della pappa e della coccola serale. Può tutto questo essere un progetto per il futuro? E, soprattutto, può bastare a dar senso a un’intera vita? “Chi edifica soltanto per sé”, scrive l’autore, “impoverisce sistematicamente le sue qualità migliori. Non soltanto le sue: abbassa la qualità umana e il potenziale complessivo della società”. Se ogni uomo nasce da un atto d’amore, da un dono ricevuto dai suoi genitori, forse c’è ancora speranza che possa imparare che la libertà e il pieno compimento arrivano anche da strade differenti rispetto all’egoismo dell’autorealizzazione. (B. Verrini)
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