Domenica 2 febbraio Giornata nazionale per la vita

Il vangelo è lo stesso per i due riti ambrosiano e romano; infine vi allego il messaggio dei Vescovi per questa 47° giornata della vita.

Dal Vangelo secondo Luca 2,22-40

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino e quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, la grazia di Dio era su di lui.

Commento mio (Michele Aramini)

Gesù deve essere offerto, secondo la legge di Israele, come tutti i primogeniti. Ma la sua offerta assume subito, per l’azione dello Spirito, una dimensione di salvezza per tutti gli uomini. Una salvezza che sarà conquistata a caro prezzo, come profeticamente dice Simeone: “Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione 35– e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori”.

Mentre l’offerta degli altri fedeli era segno della fede e della riconoscenza a Dio, signore della vita, nel caso di Gesù, Simeone intravvede il dono che Dio stesso sta per fare al suo popolo. Qui sta l’assoluta originalità del cristianesimo: non è l’uomo che serve Dio, ma è Dio che serve l’uomo.

Per questa ragione se ne esce con il suo cantico di felicità, con il quale ritiene conclusa la sua attesa: “i miei occhi hanno visto la tua salvezza”.

La salvezza di tutti costerà la vita del Messia, che in questo momento è un piccolo bambino. E tutti coloro che lo amano saranno partecipi della sua offerta e della sua sofferenza, ma anche della pienezza della gioia.

Dalla venuta di Gesù in poi, la nascita di ogni bambino non è un fatto puramente biologico e neppure un fatto privato. Ogni nascita è diventata vocazione e missione. Ognuno di noi ha la sua personale vocazione/missione che, in questo anno santo, possiamo chiamare di seminatori della speranza.

Siamo chiamati a essere luce per il mondo, speranza per gli altri uomini. Questo compito si può realizzare solo se accettiamo di essere insieme a Gesù, persone che si donano a Dio e ai fratelli, sconfiggendo la tentazione di essere predatori, come il mondo contemporaneo propone con una insuperabile sfacciataggine.

Commento di E. Ronchi

Maria e Giuseppe portarono il Bambino a Gerusalemme, per presentarlo al Signore. Una giovanissima coppia, col suo primo bambino, arriva portando la povera offerta dei poveri, due tortore, e il più prezioso dono del mondo: un bambino. Sulla soglia, due anziani in attesa, Simeone e Anna. Che attendevano, dice Luca, «perché le cose più importanti del mondo non vanno cercate, vanno attese» (Simone Weil). Perché quando il discepolo è pronto, il maestro arriva.

Non sono i sacerdoti ad accogliere il bambino, ma due laici, che non ricoprono nessun ruolo ufficiale, ma sono due innamorati di Dio, occhi velati dalla vecchiaia ma ancora accesi dal desiderio. E lei, Anna, è la terza profetessa del Nuovo Testamento, dopo Elisabetta e Maria. Perché Gesù non appartiene all’istituzione, non è dei sacerdoti, ma dell’umanità. È Dio che si incarna nelle creature, nella vita che finisce e in quella che fiorisce. «È nostro, di tutti gli uomini e di tutte le donne. Appartiene agli assetati, ai sognatori, come Simeone; a quelli che sanno vedere oltre, come Anna; a quelli capaci di incantarsi davanti a un neonato, perché sentono Dio come futuro e come vita» (M. Marcolini).

Simeone pronuncia una profezia di parole immense su Maria, tre parole che attraversano i secoli e raggiungono ciascuno di noi: il bambino è qui come caduta e risurrezione, come segno di contraddizione perché siano svelati i cuori. Caduta, è la prima parola. «Cristo, mia dolce rovina» canta padre Turoldo, che rovini non l’uomo ma le sue ombre, la vita insufficiente, la vita morente, il mio mondo di maschere e di bugie, che rovini la vita illusa. Segno di contraddizione, la seconda. Lui che contraddice le nostre vie con le sue vie, i nostri pensieri con i suoi pensieri, la falsa immagine che nutriamo di Dio con il volto inedito di un abbà dalle grandi braccia e dal cuore di luce, contraddizione di tutto ciò che contraddice l’amore.

Egli è qui per la risurrezione, è la terza parola: per lui nessuno è dato per perduto, nessuno finito per sempre, è possibile ricominciare ed essere nuovi. Sarà una mano che ti prende per mano, che ripeterà a ogni alba ciò che ha detto alla figlia di Giairo: talità kum, bambina alzati! Giovane vita, alzati, levati, sorgi, risplendi, riprendi la strada e la lotta. Tre parole che danno respiro alla vita.

Festa della presentazione. Il bambino Gesù è portato al tempio, davanti a Dio, perché non è semplicemente il figlio di Giuseppe e Maria: «i figli non sono nostri» (Kalil Gibran), appartengono a Dio, al mondo, al futuro, alla loro vocazione e ai loro sogni, sono la freschezza di una profezia “biologica”. A noi spetta salvare, come Simeone ed Anna, almeno lo stupore.

Buona domenica a tutti

don Michele Aramini

La Cei ha pubblicato il tradizionale Messaggio in occasione della 47ª Giornata Nazionale per la Vita nel contesto del Giubileo: «Tale coincidenza – vi si legge – ci sollecita ad assumere l’orizzonte della speranza, poiché è nel segno della speranza che la Bolla di indizione Spes non confundit (SnC) invita tutta la Chiesa a vivere l’anno di grazia del Signore. Ecco il testo integrale del documento. 

 1. Perché credere nel domani? 

Come nutrire speranza dinanzi ai tanti bambini che perdono la vita nei teatri di guerra, a quelli che muoiono nei tragitti delle migrazioni per mare o per terra, a quanti sono vittime delle malattie o della fame nei Paesi più poveri della terra, a quelli cui è impedito di nascere? Questa grande “strage degli innocenti”, che non può trovare alcuna giustificazione razionale o etica, non solo lascia uno strascico infinito di dolore e di odio, ma induce molti – soprattutto i giovani – a guardare al futuro con preoccupazione, fino a pensare che non valga la pena impegnarsi per rendere il mondo migliore e sia meglio evitare di mettere al mondo dei figli. 

2. Si può fare a meno della speranza? 

Gli esiti di tali atteggiamenti, umanamente comprensibili, pongono numerosi interrogativi. Quale futuro c’è per una società in cui nascono sempre meno bambini? La scelta di evitare i problemi e i sacrifici che si accompagnano alla generazione e all’educazione dei figli, come la fatica a dare sufficiente consistenza agli investimenti di risorse pubbliche per la natalità, renderanno davvero migliore la vita di oggi e di domani? 
Il riconoscimento del “diritto all’aborto” è davvero indice di civiltà ed espressione di libertà? Quando una donna interrompe la gravidanza per problemi economici o sociali (le statistiche dicono che sono le lavoratrici, le single e le immigrate a fare maggior ricorso all’IVG) esprime una scelta veramente libera, o non è piuttosto costretta a una decisione drammatica da circostanze che sarebbe giusto e “civile” rimuovere? Quale futuro c’è per un mondo dove si preferisce percorrere la strada di un imponente riarmo piuttosto che concentrare gli sforzi nel dialogo e nella rimozione delle ingiustizie e delle cause di conflitto? La logica del “se vuoi la pace prepara la guerra” riuscirà a produrre equilibri stabili e armonia tra i popoli e tra gli stati, oppure, come spesso è accaduto in passato, le armi accumulate – al servizio di interessi economici e volontà di potenza – finiranno per essere usate e produrre morte e distruzione? Abbandonare uno sguardo di speranza, capace di sostenere la difesa della vita e la tutela dei deboli, cedendo a logiche ispirate all’utilità immediata, alla difesa di interessi di parte o all’imposizione della legge del più forte, conduce inevitabilmente a uno scenario di morte. 

3. La trasmissione della vita, segno di speranza 

La speranza si manifesta in scelte che esprimono fiducia nel futuro; ciò vale non solo per le nuove generazioni: “Guardare al futuro con speranza equivale ad avere una visione della vita carica di entusiasmo da trasmettere” (SnC 9). Una particolare espressione di fiducia nel futuro è la trasmissione della vita, senza la quale nessuna forma di organizzazione sociale o comunitaria può avere un domani. In quanto credenti, riconosciamo che “l’apertura alla vita con una maternità e paternità responsabile è il progetto che il Creatore ha inscritto nel cuore e nel corpo degli uomini e delle donne, una missione che il Signore affida agli sposi e al loro amore” (ibid.) Tutti condividiamo la gioia serena che i bambini infondono nel cuore e il senso di ottimismo dinanzi all’energia delle nuove generazioni. Ogni nuova vita è “speranza fatta carne”. Per questo siamo vivamente riconoscenti alle tante famiglie che accolgono volentieri il dono della vita e incoraggiamo le giovani coppie a non aver timore di mettere al mondo dei figli. È urgente “rianimare la speranza” in questo particolare campo dell’esistenza umana, tanto decisivo per l’avvenire: “il desiderio dei giovani di generare nuovi figli e figlie, come frutto della fecondità del loro amore, dà futuro a ogni società ed è questione di speranza: dipende dalla speranza e genera speranza” (SnC 9). 

4. Pochi figli, troppi “pets” 

Nel nostro Paese, come in molti altri dell’occidente e del mondo, si registra da anni un costante calo delle nascite, che preoccupa per le ricadute sociali ed economiche a lungo termine; alcune indagini registrano anche un vistoso calo del desiderio di paternità e maternità nelle giovani generazioni, propense a immaginare il proprio futuro di coppia a prescindere dalla procreazione di figli. Altri studi rilevano un preoccupante processo di “sostituzione”: l’aumento esponenziale degli animali domestici, che richiedono impegno e risorse economiche, e a volte vengono vissuti come un surrogato affettivo che appare assai riduttivo rispetto al valore incomparabile della relazione con i bambini. 
Tutto ciò è in primo luogo il risultato di una profonda mancanza di fiducia, che invece costituisce l’ingrediente fondamentale per lo sviluppo della persona e della comunità; esso viene pregiudicato dall’angoscia per il futuro e dalla diffidenza verso le persone e le istituzioni. La “perdita del desiderio di trasmettere la vita” ha anche altre cause: “ritmi di vita frenetici, timori riguardo al futuro, mancanza di garanzie lavorative e tutele sociali adeguate, modelli sociali in cui a dettare l’agenda è la ricerca del profitto anziché la cura delle relazioni” (ibid.). 

5. La rinuncia ad accogliere la vita 

Dobbiamo poi constatare come alcune interpretazioni della legge 194/78, che si poneva l’obiettivo di eliminare la pratica clandestina dell’aborto, nel tempo abbiano generato nella coscienza di molti la scarsa o nulla percezione della sua gravità, tanto da farlo passare per un “diritto”, mentre “la difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano. Suppone la convinzione che un essere umano è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo” (Dignitas infinita 47). Per di più, restano largamente inapplicate quelle disposizioni (cf. art. 2 e 5) tese a favorire una scelta consapevole da parte della gestante e a offrire alternative all’aborto. Occorre pertanto ringraziare e incoraggiare quanti si adoperano “per rimuovere le cause che porterebbero all’interruzione volontaria di gravidanza […] offrendo gli aiuti necessari sia durante la gravidanza che dopo il parto” (L. 194/78, art. 5), come i Centri di Aiuto alla Vita, che in 50 anni di attività in Italia hanno aiutato a far nascere oltre 280.000 bambini. 

6. Genitori nonostante tutto 

Va infine considerato un altro fenomeno sempre più frequente, quello del desiderio di diventare genitori a qualsiasi costo, che interessa coppie o single, cui le tecniche di riproduzione assistita offrono la possibilità di superare qualsiasi limitazione biologica, per ottenere comunque un figlio, al di là di ogni valutazione morale. Osserviamo innanzitutto che il desiderio di trasmettere la vita rimane misteriosamente presente nel cuore degli uomini e delle donne di oggi. Le persone che avvertono la mancanza di figli vanno accompagnate a una generatività e a una genitorialità non limitate alla procreazione, ma capaci di esprimersi nel prendersi cura degli altri e nell’accogliere soprattutto i piccoli che vengono rifiutati, sono orfani o migranti “non accompagnati”. Questo ambito richiede una più puntuale regolamentazione giuridica, sia per semplificare le procedure di affido e adozione che per impedire forme di mercificazione della vita e di sfruttamento delle donne come “contenitori” di figli altrui. 

7. L’impegno di tutti per la vita 

L’impegno per la vita interpella innanzitutto la comunità cristiana, chiamata a fare di più per la diffusione di una cultura della vita e per sostenere le donne alle prese con gravidanze difficili da portare avanti.
La Chiesa deve anche promuovere “un’alleanza sociale per la speranza, che […] lavori per un avvenire segnato dal sorriso di tanti bambini e bambine che vengano a riempire le ormai troppe culle vuote in molte parti del mondo” (SnC 5). Un’alleanza sociale che promuova la cultura della vita, mediante la proposta del valore della maternità e della paternità, della dignità inalienabile di ogni essere umano e della responsabilità di contribuire al futuro del Paese mediante la generazione e l’educazione di figli; che favorisca l’impegno legislativo degli stati per rimuovere le cause della denatalità con politiche familiari efficaci e stabili nel tempo; che impegni ogni persona di buona volontà ad agire per favorire le nuove nascite e custodirle come bene prezioso per tutti, non solo per i loro genitori. Tale alleanza può e deve essere inclusiva e non ideologica, mettendo insieme tutte le persone e le realtà sinceramente interessate al futuro del Paese e al bene dei giovani: se la questione della natalità dovesse diventare la bandiera di qualcuno contro qualcun altro, la sua portata ne risulterebbe svilita e le scelte relative sarebbero inevitabilmente instabili, soggette a cambi di maggioranza o agli umori dell’opinione pubblica. 

8. L’aiuto di Dio, “amante della vita” 

La Scrittura ci presenta un Dio che ama la vita: la desidera e la diffonde con gioia in molteplici e sorprendenti forme nell’universo da lui creato e sostenuto nell’esistenza; ama in modo particolare gli esseri umani, chiamati a condividere la dignità filiale e ad essere partecipi della stessa vita divina. Confidiamo pertanto nella grazia particolare di questo anno giubilare, che porta il dono divino di “nuovi inizi”: quelli che il perdono offre a chi è prigioniero del suo peccato; quelli che la giustizia porta a chi è schiacciato dall’iniquità; quelli che la speranza regala a chi è bloccato dalla disillusione e dal cinismo. 

Roma, novembre 2024

Il Consiglio Episcopale Permanente della Conferenza Episcopale Italiana