Ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa contro il traffico di organi: rinnovata cultura della solidarietà umana
Maurizio Calipari
Donare una parte del proprio corpo (organi, tessuti o cellule), in modo gratuito, non è solo un atto di generosità o altruismo, ma è anche un modo concreto di realizzare pienamente il nostro essere: è un vero atto d’amore e di solidarietà; e solo così deve essere inteso. Ogni altra modalità non corrisponderebbe alla peculiare dignità dell’essere umano. Mai, infatti, la persona e il suo valore possono avere un corrispettivo in denaro o in altri beni materiali. Con lungimiranza e sapienza, lo aveva già ricordato anche Giovanni Paolo II: “… ogni prassi tendente a commercializzare gli organi umani o a considerarli come un’unità di scambio e di vendita, risulta moralmente inaccettabile, poiché attraverso un utilizzo ‘oggettuale’ del corpo, viola la stessa dignità della persona” (Disc. ai partecipanti al XVIII Congresso Internaz. della Transplantation Society, 29/8/2000)
Ci sono voluti ben due anni, ma alla fine anche l’Italia ha scelto di ratificare formalmente la Convenzione del Consiglio d’Europa contro il traffico di organi. Qualche giorno fa (l’11 maggio), infatti, la Camera dei Deputati ha approvato il ddl “Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa contro il traffico di organi umani, fatta a Santiago de Compostela il 25 marzo 2015, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno” (C. 3918-A). Adesso, come prassi, tocca al Senato completare l’iter di approvazione, sperando che non debbano trascorrere altri due anni!
A dire il vero, già l’11 dicembre 2016 era stata approvata ed era entrata in vigore la legge n. 236, che introduceva nel codice penale il delitto di traffico di organi prelevati da persona vivente, prevedendo un’aggravante in caso di associazione a delinquere per questo fine. Ora, il nuovo ddl, presentando un più ampio contenuto, completa le prescrizioni della precedente legge.
L’obiettivo centrale della Convenzione del Consiglio d’Europa contro il traffico di organi umani del 25 marzo 2015 (che si compone di 33 articoli, raggruppati in 9 capitoli) è quello di contribuire alla sua totale abolizione, mediante l’introduzione di una serie di fattispecie penali nell’ordinamento giuridico dei Paesi contraenti. L’iniziativa ha un intento per così dire “integrativo”. E’ già in vigore, infatti, e con ottimi risultati, una fitta maglia normativa internazionale volta ad impedire i traffici di organi umani nel contesto del contrasto alla tratta di persone. La nuova Convenzione estende quelle norme anche all’eventualità in cui il donatore d’organi non sia stato coercitivamente indotto a privarsi di una parte del proprio corpo o non sia considerato vittima di traffico di esseri umani.
E’ da rilevare, poi, come ulteriore punto di forza, la previsione secondo cui le misure legislative di diritto penale introdotte da ciascuno dei Paesi ratificanti non dovranno essere subordinate necessariamente alla denuncia da parte della vittima o al trasferimento di informazioni da parte di uno Stato nel cui territorio sia stato commesso un reato. Dunque, viene ribadito il concetto che il consenso all’espianto di organi può essere ottenuto illegalmente anche mediante corresponsione di somme di denaro o di altri benefici.
Pur senza entrare nel dettaglio dell’articolato del provvedimento, si può in definitiva evidenziare la conferma dei due cardini imprescindibili che devono continuare a connotare la donazione di organi, in ogni parte del mondo:
il libero consenso informato e la gratuità.
Una sottolineatura, questa, che, a ben vedere, si armonizza perfettamente con una visione antropologica di taglio personalista.
Secondo questa prospettiva, l’unità sostanziale della persona umana esige la valorizzazione della sua corporeità come “epifania” (manifestazione) della persona stessa e della sua identità profonda. Nella sua vocazione “strutturale” a realizzarsi mediante il libero dono di sé, dunque, ciascuno di noi mette a disposizione del bene comune – nei modi propri e adeguati al proprio stato – ciò che possiede, ma soprattutto ciò che è, per promuovere un bene di pari dignità (vita o salute di un altro).
In quest’ottica, donare una parte del proprio corpo (organi, tessuti o cellule), in modo gratuito, non è solo un atto di generosità o altruismo, ma è anche un modo concreto di realizzare pienamente il nostro essere: è un vero atto d’amore e di solidarietà; e solo così deve essere inteso.
Ogni altra modalità non corrisponderebbe alla peculiare dignità dell’essere umano. Mai, infatti, la persona e il suo valore possono avere un corrispettivo in denaro o in altri beni materiali. Con lungimiranza e sapienza, lo aveva già ricordato anche Giovanni Paolo II: “… ogni prassi tendente a commercializzare gli organi umani o a considerarli come un’unità di scambio e di vendita, risulta moralmente inaccettabile, poiché attraverso un utilizzo ‘oggettuale’ del corpo, viola la stessa dignità della persona” (Disc. ai partecipanti al XVIII Congresso Internaz. della Transplantation Society, 29/8/2000).
E’ quindi da apprezzare con convinzione la ratifica italiana della Convenzione di Santiago de Compostela, nella speranza che, oltre a prevenire e punire ogni forma di commercializzazione o sfruttamento legati alla donazione di organi, possa servire anche alla promozione di una rinnovata cultura del dono di sé e della solidarietà umana, mediante un gesto semplice ma enormemente significativo, quale è la libera scelta di divenire donatore di organi.