Dr. GIUSEPPE BATTIMELLI
Vice – Presidente Nazionale AMCI per il Sud Italia
Il tema “Bioetica, Biopolitica e Diritti Umani”, potrebbe sembrare a prima vista alquanto accademico, dottrinale e comunque lontano o di esclusiva pertinenza degli addetti ai lavori.
In realtà pensiamo che le ineludibili problematiche della bioetica toccano ciascuno di noi sia individualmente che comunitariamente ed anche che è incontrovertibile l’interesse della politica e dello Stato nella ricerca di una legislazione o quanto meno di una regolamentazione che delimiti i diritti e i doveri nei confronti delle tematiche della vita e della tecnoscienza.
Basti pensare, per fare degli esempi concreti, come il biodiritto e la biopolitica intervengano oggi sempre più nelle delicate e controverse questioni di inizio e fine vita (come per esempio nella legalizzazione dell’aborto, nel complesso campo della procreazione medicalmente assistita oppure nei temi legati all’eutanasia e alle cure palliative) o nelle problematiche dei trapianti d’organo oppure nelle emergenti questioni dell’identità di genere, nella sperimentazione clinica, ecc.
L’epoca attuale si contraddistingue per un ampliamento dei diritti individuali fino a determinare nuovi diritti (che spesso si confondono con i desideri soggettivi) che vengono reclamati e che si vogliono soddisfatti dal potere politico e legislativo, che se ne deve fare carico: il diritto ad avere un figlio, il diritto ad avere un figlio ma solo se è sano, il diritto persino a non nascere se si è affetti da qualche patologia o disabilità, il diritto alla salute riproduttiva (includendovi il diritto all’aborto), il diritto alla diagnosi prenatale e preimpianto nel caso della fecondazione in vitro (anche se è finalizzata all’eliminazione del concepito qualora “difettoso”, cosidetta “wrongful birth” o “wrongful life”), il diritto ad una morte dignitosa, il diritto ad una vita di qualità, il diritto al rifiuto delle cure (anche quando sono ordinarie e proporzionate), il diritto all’eutanasia, il diritto al suicidio assistito, il diritto ad una ricerca scientifica libera e senza vincoli, i diritti (presunti) degli animali, ecc.
Se è vero che la bioetica è intesa come branca della filosofia morale, scienza dei fini e non dei mezzi (infatti si chiede: che cosa dobbiamo fare? Come dobbiamo comportarci?), disciplina autonoma rispetto alla medicina legale e alla deontologia medica con un proprio statuto epistemologico, allora il bioeticista risponde alla domanda: tutto ciò che è tecnologicamente possibile è anche eticamente lecito? (quindi s’interroga circa le categorie del bene del male e del lecito e dell’illecito).
Il biodiritto invece considera l’intervento dell’uomo sull’uomo e sulla natura dal punto di vista del giusto e dell’ingiusto ed il biogiurista si domanda invece se tutto ciò che la biotecnologia è in grado di produrre, richieda (e in che misura) una normazione che indichi i limiti o i divieti o le proibizioni o viceversa i permessi e le concessioni.
Ecco che interviene la biopolitica, che non va intesa soltanto e molto superficialmente come il recepimento o la traduzione in leggi di ciò che inerisce la vita o la morte, ma molto più criticamente (ed ambiguamente), secondo la concezione del filosofo francese Michel Foucault che l’ha proposta negli settanta del secolo scorso, come l’esercizio del potere, di qualunque potere, (dello Stato, della società, del gruppo, dell’individuo, ecc.) sulla vita personale e collettiva o meglio ancora sul corpo, nella sua intima gestione e utilizzazione.
Tant’è che l’acclarata distinzione di una biopolitica “sulla vita” o “per la vita”, si estrinseca teoricamente e concretamente in sottili quanto fondamentali ma aporetici interventi: da una promozione e cura della vita stessa fino alla codificazione della sua distruzione
Il filosofo del diritto Francesco D’Agostino, rifacendosi a Giorgio Agamben e più indietro ancora ad Hannah Arendt, filosofa e storica tedesca di origini ebraiche, ritiene a giusta ragione che i totalitarismi del secolo scorso, con le loro tragedie, sono state originate da ideologie biopolitiche (e non viceversa), a causa delle quali il potere, negando qualsiasi diritto umano, ha giustificato gli orrori dei campi di concentramento e permesso l’annientamento ontologico e conseguentemente assiologico della persona umana, considerata “nuda vita”, su cui tutto è lecito, persino la distruzione fisica.
Tutto ciò, secondo questo autore, potrebbe per analogia e al di là dei differenti contesti e delle diverse ispirazioni, avverarsi oggi nei laboratori dei medici e degli scienziati quando viene manipolata la vita.
E’ da evidenziare anche la indubbia ed assodata differente interpretazione della biopolitica secondo modelli di riferimento che sono certo politici (libertario, liberale, radicale, comunitario), ma che soggiacciono a modelli filosofici ed antropologici diversi (liberalismo, capitalismo, utilitarismo, conseguenzialismo, socio-biologismo, specismo, riduzionismo marxista, personalismo ontologicamente fondato).
E’ ormai incontrovertibile che si propongono prospettive peraltro alternative di come il biodiritto e la biopolitica debbano affrontare i problemi bioetici: da una parte i fautori di un “diritto mite” o di “nessun diritto” nelle questioni riguardanti la vita, tenuto conto del pluralismo culturale della nostra società; dall’altra i fautori di una semplice possibilità di manifestare e quindi legittimare tutti i modelli etici esistenti, attraverso la regolamentazione procedurale dell’autodeterminazione personale, unico criterio di valutazione o ancora i fautori che ritengono che siano le maggioranze politiche o l’opinione delle maggioranze o i costumi della società civile a determinare l’etica.
Noi riteniamo che il problema sia duplice, dall’evidente anche se implicito nesso: se esista un’antropologia di riferimento e se la fondazione dei valori sia oggettiva ed universale e non soggettiva.
Mettere al centro di ogni considerazione la persona umana, come unità di spirito e di corpo, sempre soggetto e mai oggetto, essere sussistente, che esiste in se e per sé, che gode di diritti inalienabili (prima fra tutti quello alla vita), scaturenti dalla sua dignità, su cui né lo Stato, né la società, né la scienza, né un altro uomo è legittimato ad agire, ci permetterebbe di ricomporre e chiarire finalmente in senso personalista quelle dicotomie laceranti e fuorvianti della cultura moderna: la distinzione tra essere umano e soggetto, tra persona e individuo, tra chi considera il concepito, l’embrione, il feto, il non nato, “non ancora persona” e chi ritiene che l’essere umano non muta di essenza e di valore a seconda delle fasi dell’esistenza; tra chi ritiene “non più persona” il malato in stato vegetativo, il disabile, il malato mentale o affetto da malattia di Alzheimer e chi invece è certo che anche queste sono vite degne di essere vissute.
In entrambi i casi alcuni ritengono che si tratti non di “persone” ma di “individui umani” che non sono “ancora” o “non più” titolari di diritti, persino di quello alla vita.
Ecco allora la possibilità di affermarsi di un biodiritto come “diritto per la vita”: il biodiritto come tutela dei soggetti deboli (embrione, handicappato malato, vecchio), fondato sul solidarismo, sul bene comune, sul bene sociale, insomma sul bene umano.
Riteniamo che i nodi della biopolitica e del biodiritto, nel comporre o mediare tra i diversi valori in bioetica, possano essere sciolti o quantomeno esaminati alla luce di un’etica condivisibile che faccia perno sulla ragione umana, sulla giustizia, sul riconoscere all’uomo quello che gli è dovuto per natura ed essenza: la sua dignità e i suoi “diritti inalienabili”, dal concepimento alla sua morte naturale.
E’ su questa antropologia che si fondano i diritti e i valori che vanno riconosciuti e non fondati, promossi e non determinati, magari ampliati e mai misconosciuti.
Ulpiano, giureconsulto romano del secondo secolo, tra i maggiori esponenti del diritto romano, ci può indicare la strada e le regole da perseguire ancora oggi nel diritto e nel biodiritto: la giustizia è tutto ciò che è buono ed equo, perché “iuris praecepta sunt haec: suum cuique tribuere, alterum non laedere, honeste vivere” (le regole del diritto sono queste: attribuire a ciascuno il suo, non recare danno ad altri, vivere onestamente).