CON DIGNITÀ, FINO ALLA FINE: PAZIENTE E MEDICO “ALLEATI PER LA VITA”
CON DIGNITÀ, FINO ALLA FINE: PAZIENTE E MEDICO “ALLEATI PER LA VITA”
Un contributo al dibattito pubblico sul fine-vita
- L’arte medica e le sue radici
Fin dalle sue origini l’arte della medicina è al servizio della persona malata, con la finalità di curarne la condizione di salute e la qualità di vita, di guarirne – nei limiti del possibile – le patologie ed alleviarne le sofferenze. In questa prospettiva, pur con accenti e riferimenti differenti lungo i secoli, paziente e medico sempre hanno saputo costruire insieme una vera “alleanza per la vita”. Da un lato la domanda di aiuto da parte del paziente, segnata dal peso del proprio vissuto e caratterizzata dalla sua soggettività etica e psicologica; dall’altro, la risposta d’aiuto – basata sulla competenza professionale, l’abilità operativa e la formazione umana – da parte del medico, consapevole della sua peculiare missione. Entrambi, in ascolto della propria coscienza morale e nel rispetto di quella altrui, impegnati a sostenere e promuovere il bene primario della vita e la qualità della salute. Una prospettiva che Scienza & Vita sostiene e promuove ancora oggi per strutturare e modulare “a misura umana” il rapporto paziente-medico, soprattutto nelle situazioni cliniche più difficili e complesse, tanto sotto il profilo tecnico quanto sotto quello umano.
- Lo strumento della pianificazione terapeutica condivisa
Come evidenzia la prassi medica, molte di queste situazioni si verificano nell’ambito del fine vita. E proprio in tale ambito, è ancor più radicata la nostra convinzione che anche alcuni preoccupanti fenomeni emergenti, come l’eventuale richiesta di eutanasia da parte del malato o, all’opposto, la tendenza al cosiddetto “accanimento terapeutico” da parte del medico, possano essere superati e svuotati della loro ragion d’essere proprio da un corretto percorso di condivisione programmatica e operativa tra paziente e medico dell’iter di cura.
A tal fine, ciò che proponiamo ed auspichiamo – soprattutto nei luoghi di cura dove ciò non sia ancora una realtà – è la virtuosa scelta di una pianificazione terapeutica condivisa che, nella situazione clinica concreta, dal momento dell’instaurazione dell’alleanza paziente-medico, veda entrambi i soggetti come co-protagonisti – nel rispetto reciproco dei propri ruoli e doveri specifici – nella gestione del percorso di cura per il raggiungimento degli obiettivi comuni di volta in volta prefissati. Questa pianificazione condivisa va ovviamente rimodulata, ogni qualvolta ciò si renda necessario, in base all’evolversi della condizione clinica del paziente, soprattutto nelle fasi finali della sua vita. Resta comunque in carico al paziente il diritto/dovere di assumere in coscienza la responsabilità ultima delle decisioni circa gli interventi medici cui sottoporsi, nel momento presente, in coerenza col quadro valoriale assunto congiuntamente. Spetta invece al medico il dovere etico e deontologico di mettere il paziente – attraverso un’adeguata e completa informazione – nelle migliori condizioni per poter esercitare questa sua responsabilità etica.
In questa prospettiva, sono da incoraggiare e diffondere possibili iniziative – per esempio, l’istituzione in ospedale della figura del medico tutor – che facilitano e migliorano il dialogo tra paziente e medico curante.
- Necessità di criteri e riferimenti valoriali, nella prospettiva del bene integrale della persona
Perché l’adozione di una prassi di pianificazione terapeutica condivisa possa essere concretamente applicabile nella pratica clinica quotidiana, appare però necessario che essa faccia riferimento ad un coerente quadro valoriale ed antropologico, con cui possano armonizzarsi, passo dopo passo, le singole scelte terapeutiche operate concordemente da paziente e medico. Naturalmente, senza che questo dinamismo possa essere ridotto ad un puro accordo contrattualistico tra i due, ma rimanga coerente con le finalità fondamentali dell’arte medica e la prospettiva del bene integrale del paziente.
Scienza & Vita anzitutto desidera riproporre come valore imprescindibile il riconoscimento di quel bene fondamentale che è l’essere umano vivente. La vita di ogni essere umano, infatti, mantiene la sua dignità indipendentemente dalle condizioni concrete in cui essa si svolge. Essa costituisce un bene primario della persona perché precede e consente lo sviluppo di tutti gli altri suoi beni e dimensioni, inclusa la qualità della vita stessa. E proprio in quanto tale, essa esige di essere riconosciuta e rispettata sia dal paziente sia dal medico. Al contrario, negare in qualche modo – in linea di principio o nei gesti concreti – tale bene significa inevitabilmente minare alla base, fino a distruggerle, le radici stesse dell’esistenza personale e, in definitiva, della convivenza sociale.
La declinazione di questi valori fondamentali nella condizione peculiare del paziente affetto da patologie gravi o in prossimità della morte suggerisce alcune considerazioni ulteriori, che costituiscono necessaria premessa all’attuazione di una pianificazione terapeutica condivisa, rispettosa del bene integrale del paziente:
– lo stato di malattia e l’impossibilità di recuperare condizioni di autonomia sul piano dell’efficienza fisica, psichica o, comunque, nella gestione della propria persona, non costituiscono realtà esistenziali che tolgono dignità alla persona: il reciproco affidamento rispetto a contesti di debolezza o di bisogno costituisce, anzi, una delle manifestazioni più elevate dell’umano, che deve trovare sostegno anche sul piano legislativo;
– ne deriva l’esigenza di una grande premura intesa al sollievo delle sofferenze e, più in generale, alla massima valorizzazione possibile della qualità di vita del malato, specie attraverso gli strumenti della medicina palliativa;
– al tempo stesso, occorre assicurare che, nei confronti delle persone malate, non operino mai sollecitazioni, dirette o indirette, a rifiutare terapie in sé proporzionate; si tratterà, pertanto, di contrastare messaggi che identifichino l’atteggiamento dignitoso, in condizioni di precarietà esistenziale, nella rinuncia alla vita, con inevitabili dinamiche di colpevolizzazione dei malati che desiderino usufruire delle terapie proporzionate tuttora praticabili; il malato, infatti, deve poter percepire che l’accesso a tali terapie non costituisce una sua pretesa nei confronti della società, ma l’esercizio di un preciso diritto, costituzionalmente sancito;
– va pure evitato che mere considerazioni statistiche sull’aspettativa media di vita del paziente possano giustificare che lo si privi di una corretta informazione sull’attivabilità di terapie per lui ancora utili e proporzionate, in rapporto alla sua condizione;
– allo stesso modo, va evitato con cura che le prassi relative alla gestione di fasi avanzate o croniche di malattia finiscano per dipendere, anche quando facciano appello all’affermazione di diritti individuali, da mere considerazioni di carattere economico;
– occorre garantire, in particolare, che le manifestazioni di volontà del malato non siano espressione di stati depressivi o di condizioni psichiche anomale; per cui dovrà assicurarsi ai malati affetti da patologie gravi, con particolare riguardo alle scelte di rilievo terapeutico, un adeguato sostegno psicologico, tenuto conto che spesso un atteggiamento rinunciatario del malato, ad un’analisi attenta, si rivela come un appello al non abbandono, sia sul piano medico, sia su quello umano.
- Sì alle cure “eticamente adeguate”, no all’eutanasia, no all’accanimento terapeutico
Coerentemente con gli assunti fondamentali enunciati, Scienza & Vita rifiuta ogni intervento (medico e non) eutanasico, vale a dire messo in atto con la diretta intenzione di procurare anticipatamente la morte del paziente gravemente malato o terminale o insofferente della sua condizione.
Al tempo stesso, e in ragione del medesimo riconoscimento della dignità che ogni essere umano possiede, Scienza & Vita si oppone fermamente ad ogni intervento medico che, nella data situazione del paziente, si configuri come “accanimento terapeutico”, ovvero che, in base a precisi ed individuati criteri di proporzionalità terapeutica, risulti clinicamente inappropriato.
Sosteniamo invece un approccio in cui la valutazione di appropriatezza clinica, di stampo prettamente tecnico-scientifico (quindi a carico del medico curante), si componga con la valutazione da parte del paziente della propria condizione personale attuale (sul piano esistenziale, fisico, psicologico, spirituale, ecc…), per giungere quindi a comuni decisioni “eticamente adeguate” di terapia o cura, realmente rispondenti al miglior bene del paziente, inteso nella sua integralità.
L’insieme di questi elementi dà significato compiuto al concetto di pianificazione terapeutica condivisa.
- Scienza & Vita promotrice di dialogo e confronto per decisioni massimamente condivise
Consapevole della delicatezza ed importanza di questa problematica, Scienza & Vita si impegna quindi a dare il suo contributo alla comunità, facendosi promotrice convinta di occasioni di dialogo e confronto, soprattutto tra coloro che sotto vari aspetti si occupano del settore. Con la duplice finalità di poter favorire decisioni operative massimamente condivise e, al tempo stesso, diffondere nella società civile, attraverso un’adeguata informazione, una maggiore consapevolezza delle problematiche tecniche e valoriali in gioco.