Considerazioni sulla “Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”
In Italia il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri e l’UNAR, Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali a difesa delle differenze, hanno elaborato per il triennio 2013 -2015 un documento dedicato alla “Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere” al fine di coordinare e garantire l’applicazione a livello nazionale di norme internazionali contro la discriminazione.
Contesto normativo
La prima parte della Strategia descrive il contesto normativo internazionale (ONU), europeo (Consiglio d’Europa e Parlamento Europeo) e nazionale, e ricorda tutta una serie di documenti contro la discriminazione di persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali, indicate spesso collettivamente come LGBT.
In questi documenti sono espressi però anche alcuni principi degni di nota: la Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa agli Stati membri sulle misure volte a combattere la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere CM/Rec(2010)5 non considera differenze di trattamento automaticamente come discriminazioni:
“Ricordando che, conformemente alla giurisprudenza della Corte [europea dei diritti dell’uomo], qualsiasi differenza di trattamento è ritenuta discriminatoria se non poggia su una giustificazione obiettiva e ragionevole, cioè se non persegue uno scopo legittimo e se non sussiste un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo che si vuole raggiungere.” È necessario tener presente questa distinzione, perché c’è il rischio concreto di applicare le misure contro le discriminazioni formulate nel testo a ogni differenza di trattamento, di escludere che vi possano essere differenze basate su una giustificazione obiettiva e ragionevole, e di considerare ogni presa di posizione a favore di tali differenze di trattamento come “discorsi dell’odio”.
La Raccomandazione enuncia anche due importanti principi. Dopo aver invitato gli Stati membri ad “adottare le misure adeguate per combattere qualsiasi forma di espressione, in particolare nei mass media e su internet, che possa essere ragionevolmente compresa come elemento suscettibile di fomentare, propagandare o promuovere l’odio o altre forme di discriminazione nei confronti delle persone lesbiche, gay, bisessuali o transessuali. Tale ‘discorso dell’odio’ dovrebbe essere vietato e
condannato pubblicamente in qualsiasi circostanza”, in pratica una censura che si basa su un concetto certamente non interpretabile in modo univoco come “elemento suscettibile”, appena temperato dall’avverbio “ragionevolmente”, peraltro neppure interpretabile in modo univoco, ammette comunque che: “Tutte le misure adottate dovrebbero rispettare il diritto fondamentale alla libertà di espressione, conformemente all’Articolo 10 della Convenzione e alla giurisprudenza della Corte “ (p. 31.)
E, dopo aver dichiarato, “Tenendo nel debito conto l’interesse superiore del fanciullo, dovrebbero a tale scopo essere adottate misure appropriate a ogni livello per promuovere la tolleranza e il mutuo rispetto a scuola, a prescindere dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere. Tali misure dovrebbero comprendere la comunicazione di informazioni oggettive sull’orientamento sessuale e l’identità di genere, per esempio nei programmi scolastici e nel materiale didattico […]”, viene riconosciuto che “Tali misure dovrebbero tenere conto del diritto dei genitori di curare l’educazione dei propri figli” (p.15). L’esercizio di questo diritto appare piuttosto aleatorio se si tiene conto che in alcuni paesi in nome dell’interesse superiore del fanciullo, definito in collaborazione con le associazioni LGBT, viene negato ai genitori il diritto di intervenire nei programmi scolastici, e con la pretesa della Strategia di “dare un forte impulso a quel processo di cambiamento culturale così fortemente auspicato” (p.4).
Il rapporto, poi, dell’Alto Commissario ONU per i diritti umani del 17 novembre 2011 su « Leggi e pratiche discriminatorie e atti di violenza contro individui a causa del loro orientamento sessuale e della identità di genere “ (A/HRC/19/41) dichiara esplicitamente, basandosi su un giudizio della Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici (CCPR/C/75/D/902/1999), che in base al diritto internazionale non si può pretendere che gli Stati consentano di sposarsi a coppie dello stesso sesso:
“The Human Rights Committee has held that States are not required, under international law, to allow same-sex couples to marry (n. 68)”. Il rapporto prende atto che in certi Stati coppie eterosessuali, sposate o non, beneficiano di certi vantaggi, per esempio per quanto riguarda pensioni di reversibilità, diritto ereditario, contratti di affitto, assicurazioni ecc. (n. 69), e che, in mancanza di una regolamentazione legale, coppie omosessuali possono essere discriminate. Dichiara quindi di aver accolto favorevolmente misure finalizzate a eliminare discriminazioni in questi ambiti (n 70). L’Alto Commissario mostra quindi un approccio molto pragmatico alla questione, prende in considerazione problemi pratici, che peraltro possono presentarsi anche in altre forme di coabitazione, come quelli relativi a contratti e assicurazioni, e auspica che vengano prese misure per risolverli.
Per quanto riguarda il contesto normativo italiano la Strategia “segnala che la sentenza della Corte Costituzionale n. 138 del 14 marzo 2010, relativa all’estensione del matrimonio anche tra persone dello stesso sesso, ne ha dichiarato l’inammissibilità, ma nel contempo ha riconosciuto che, sulla base dell’art. 2 della Costituzione, le coppie dello stesso sesso sono portatrici di legittime istanze di parità e che la scelta dello strumento specifico per riconoscerne i relativi diritti e doveri spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità “ (p. 8).
Discutibili appaiono le deduzioni che la Strategia pensa di poter trarre dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea: “Particolare importanza riveste in ambito sovranazionale l’Unione europea, che nel 2000 ha adottato la Carta dei Diritti Fondamentali dei cittadini dell’Unione europea, avente effetto giuridico vincolante nell’Unione a partire dal 2009. In essa è contenuto il divieto di discriminazione anche in base all’orientamento sessuale della persona umana e il riconoscimento generale del diritto di sposarsi e costituire una famiglia”. (p. 7)
Di fatto, l’Articolo 9 dice che “Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio” e l’Articolo 21 che “È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, [… sulle] tendenze sessuali”. L’esercizio del diritto di sposarsi viene affidato ai singoli Stati e la generalizzazione dell’articolo contro la discriminazione al diritto di sposarsi appare come una forzatura.
Situazione delle persone omosessuali in Italia
Nella seconda parte l’analisi della situazione delle persone omosessuali in Italia si basa soprattutto su una ricerca dell’Istituto Nazionale di Statistica, ISTAT, del 2011 su 7.725 persone, “La popolazione omosessuale nella società italiana”. Significativo è il dato che solo il 20% delle persone consultate si è dichiarato a favore dell’adozione per coppie omosessuali, e che anche più della metà di chi si era dichiarato favorevole al matrimonio per coppie omosessuali non era favorevole all’adozione. Questo dato sembra dimostrare che la stragrande maggioranza degli italiani pur mostrando attenzione per problemi concreti delle unioni omosessuali non le considera alla stregua della famiglia, concepita come entità formata da genitori e figli.
La Strategia ricorda pure che l’UNAR ha un Contact Center per la segnalazione di casi di discriminazione e che nel 2012 vi sono state 144 segnalazioni, che non riguardano però alcuni importanti settori: “Non risultano, al momento, casi accertati di discriminazione per l’accesso all’alloggio, nel lavoro pubblico o privato. […]
Sebbene anche in ambito sanitario la discriminazione si possa presentare in varie forme, anche in questo settore non risultano casi accertati” (p. 13).
Dall’omofobia alla omonegatività
Ala Strategia è allegato un glossario che definisce anche il concetto di omonegatività: “il termine omofobia oggi è in parte superato e sostituito con il termine omonegatività per indicare che gli atti di discriminazioni e violenza nei confronti delle persone omosessuali non sono necessariamente irrazionali o il frutto di una paura, ma piuttosto l’espressione di una concezione negativa dell’omosessualità, che nasce da una cultura e una società eterosessista.” (p. 41).
Comportamenti oggettivamente intolleranti non sono considerati isolatamente come un fenomeno irrazionale e assimilabile a un disturbo nevrotico, ma vengono collegati alla concezione tradizionale di uomo e donna e di quella del matrimonio come unione tra un uomo e una donna, proponendo una rapporto di contiguità se non di continuità: “dietro gli episodi di bullismo omofobico e transfobico vi sono altri problemi, quali quelli legati a una cultura che prevede soltanto una visione eteronormativa e modelli di sessualità e norme di genere” (p. 16).
In altri termini “‘reati dell’odio’ e altri incidenti motivati dall’odio” (p. 44) vengono messi in stretta relazione con presunti “discorsi dell’odio” (p. 45), con il rischio che ogni descrizione di differenze venga considerata come suscettibile di legittimare tali atteggiamenti di odio o discriminatori, e sia quindi sanzionabile.
La questione antropologica
Il problema della sessualità e degli orientamenti sessuali rimanda alla più generale questione antropologica, ma la Strategia accetta unicamente le teorie dei gruppi LGBT. “ L’UNAR, operante presso il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in qualità di Focal Point nazionale per il contrasto ad ogni forma di discriminazione, è l’autorità centrale delegata al coordinamento delle attività” e tra i suoi strumenti per la “governance” ricorda al primo posto “Il Gruppo Nazionale di Lavoro LGBT”, istituito con decreto direttoriale del 20 novembre2012 e costituito da 29 associazioni di settore. “Tuttavia possono partecipare alle sessioni di lavoro, qualora si ravvisi la necessità, esperti e rappresentanti di altri associazioni o enti individuati dall’Ufficio, con specifiche competenze nelle tematiche relative all’orientamento sessuale e all’identità di genere” (pp. 35-36). Il testo sembra quindi definire un gruppo di lavoro chiuso. Solo l’Ufficio sembra avere il diritto di decidere se e quali altri esperti coinvolgere nei lavori, con l’elemento discriminante che devono avere competenze specifiche. Cioè, questo Gruppo Nazionale di Lavoro si propone di cambiare la cultura della nazione, ma è composto da un gruppo di associazioni autoreferenziali, mentre chi non condivide l’ideologia di genere non ha voce in capitolo.
Ermanno Pavesi
Segretario generale della FIAMC
18.5.2013