Legge 194. Il diritto alla vita, innanzitutto
di Filippo M. Boscia
08 GIU – Gentile Direttore,
certamente fa non poca meraviglia che la società scientifica che comprende e rappresenta la maggior parte dei ginecologi italiani, più che assumere un atteggiamento di equidistanza tra favorevoli e contrari, in occasione dell’ultima pretestuosa polemica, abbia preso una posizione molto netta a difesa della legge 194/78. E ciò per il fatto che quasi sicuramente la maggioranza dei suoi iscritti è compresa nell’oltre il 70 per cento di colleghi che scelgono di obiettare e di conseguenza devono essere considerati in totale disaccordo con essa.
Negli ultimi giorni si sono susseguiti numerosi dichiarazioni (si veda il contributo di Valeria Dubini, di Antonio Panti e di Antonio Chiantera, Nicola Colacurci ed Elsa Viora), non sempre condivisibili, ma che dimostrano soprattutto quanta confusione ci sia ancora sull’argomento aborto volontario.
Ad esempio, è opportuno, per l’ennesima volta, ribadire il concetto che l’interruzione volontaria della gravidanza non è un diritto, ma una possibilità. Sì garantita dalla legge, ma solo quando vi siano delle condizioni particolari, se vogliamo abbastanza restrittive, seppure poi in pratica aggirate con vari stratagemmi.
Allo stesso modo è fuori tempo e fuori luogo parlare di ennesimo attacco all’autodeterminazione delle donne se ci fermiamo solo per un attimo a considerare quale sia nella maggior parte dei casi la condizione di chi arriva a chiedere l’aborto, quasi sempre in totale solitudine, dopo aver preso una oltremodo tragica decisione, tutt’altro che facile, comunque traumatica.
Indubbiamente i numeri delle relazioni parlamentari ci dicono che, in oltre quarant’anni, gli aborti volontari sono diminuiti. Ma sappiamo bene che le statistiche lasciano il tempo che trovano. E oggi a quel totale vanno aggiunti gli aborti provocati, forse non sempre, dalle varie “pillole del giorno dopo”, i cosiddetti “aborti nascosti”, in numero di centinaia di migliaia l’anno.
E’ vero che gli aborti clandestini non sono scomparsi, ma non era quello il fine primo della legge quanto piuttosto di limitarne il ricorso, fornendo un’alternativa legale. Né ovviamente l’entità del fenomeno è riscontrabile nei dati ministeriali, in quanto la cifra è solo frutto di presunzione, ma indica in modo significativo che l’aborto era e rimane un problema sociale.
In fondo alla base delle interruzioni così come della denatalità vi sono le stesse cause, quelle che proprio la legge 194/78 invitava a ricercare e a risolvere, ma alle quali, sappiamo bene, non è stato mai possibile trovare rimedio, soprattutto perché è mancata la volontà politica, più della disponibilità economico-finanziaria, per farlo.
Non si può però sottacere che, riguardo all’aborto, quello che manca è una maggior disponibilità dei vari soggetti istituzionali coinvolti (psicologici, assistenti sociali e, perché no, anche medici) a venire incontro alle esigenze, privilegiando l’ascolto e non solo rilasciando un facile certificato. Solo allora potremmo legittimamente parlare di orgoglio professionale!
Come ho già detto più volte, in quanto profondamente convinto, la legge 194/78 è da considerarsi di per sé iniqua, oltre ad essere viziata da alcuni inganni. Perché, pur richiamando l’importanza del valore sociale della maternità, nella reale applicazione ha depenalizzato e semplificato l’aborto volontario, portando alla sua accettazione come una pratica del tutto ordinaria.
Il costo per le donne va ben oltre l’esperienza in sé ma comprende danni fisici e psicologici che qui non sto a dire. Da professore di fisiopatologia della riproduzione umana e da ricercatore sugli aspetti della procreazione, riaffermo con energia che la questione dell’aborto non è solo una questione di morale cattolica ma anche di morale laica.
Nell’immaginario collettivo l’aborto è ormai percepito come un diritto della donna, ma non possiamo fare a meno di sostenere che in nome di questo diritto si viola il fondamentale diritto alla vita del concepito. Dal primo istante l’essere umano deve vedersi riconosciuti i diritti della persona, tra i quali il “diritto inviolabile alla vita”. Principio irrinunciabile sia per i cattolici che per i laici!
Prof. Filippo M. Boscia
Presidente Nazionale Associazione Medici Cattolici Italiani
Presidente Onorario Società Italiana di Bioetica