Il Papa ci invita a “mai abbandonare il malato, ma niente accanimento”. Il concetto di “non abbandonare mai il malato” “evidenzia il comandamento supremo della prossimità responsabile”. Come Presidente dell’Associazione Medici Cattolici Italiani ritengo doveroso esprimere al Papa un ringraziamento per la fermezza del suo messaggio.
Devo confessare come medico e dopo 45 anni di esperienza che non sono ancora in grado di definire quale sia il limite tra proporzionalità terapeutica e la non appropriatezza delle cure. Posso dire che è un sottilissimo velo che si interpone ma che risulta essere davvero di difficile comprensione: è proprio la difficile comprensione del limite la cosa che più di ogni altra mi preoccupa perché senza la comprensione del limite ogni percorso diventa pericoloso. Della non appropriatezza delle cure si parla oggi e si parla molto, la si definisce sproporzione o con un termine che non condivido, “accanimento terapeutico”. Non ho mai visto medici che partono da casa con lo scopo di recarsi in ospedale e “accanirsi” sui pazienti, senza tener presente la proporzionalità delle cure. Credo molto nella coscienza e nella responsabilità dei medici.
Viceversa, attenzione, perché per il malato, in caso di abbandono terapeutico vi è un reale rischio che lui si senta respinto, non più percepito nella sua fragilità. Certamente la sensibilità di una persona fragile può acutamente avvertire ogni variazione di care, ogni allontanamento del medico dal suo capezzale e può percepire la sensazione di fine e di abbandono. Riconosciamo che in questo momento la medicina è cambiata: si delinea nettamente una professione sanitaria estremamente tecnicistica, aziendalistica, economicistica in un contesto socio sanitario e culturale mutato. Il pericolo è quello di creare una medicina che veda la malattia come evento clinico o di costo e non come evento esistenziale. La tecnica poi ha un grosso difetto: nel momento in cui sembra risolvere i problemi, in realtà ne crea sempre di nuovi. Questa nostra riflessione avviene in un momento nel quale il progressismo sanitario pone entusiasmo per le tecnoscienze mentre d’altro canto si sottolineano le libertà assolute dell’uomo. Non è possibile uno sviluppo di civiltà senza una consapevolezza e una cultura del limite.
I professionisti medici devono saper scoprire l’autentico significato della vita anche quando questa sta per spegnersi ed essere leali alleati coinvolgendo anche in questa loro attività la famiglia.
In un pronto soccorso di fronte alle grandi emergenze è molto facile che il medico scelga un approccio difensivistico- trattamenti “oltre” (over treatment): la medicina difensivistica può diventare dominante.
Un esempio concreto: un 95enne giunge portato dai parenti al pronto soccorso: quali le azioni che il medico deve rapidamente intraprendere? Certamente ci può essere un positivo eccesso di zelo che successivamente può essere interpretato come accanimento; viceversa se c’è minore aggressività quel medico potrà essere chiamato a rispondere per non aver fatto abbastanza. E’ assolutamente difficile districarsi in questi casi se non si ripristina una alleanza tra medico e cittadino utente, giustamente esigente. Con l’alleanza si ottiene uno splendido bilanciamento tra la dignità del paziente e la dignità del medico, entrambe massima espressione della dignità umana. Da medico dico: attenzione, non produciamo una medicina del corpo separata dall’anima; se lo facessimo avremmo una medicina senza anima. Credo di poter parlare a nome di tutti i medici: sono tutti desiderosi che la medicina abbia un’anima, che ci sia rispetto verso il malato e diciamo
“no” all’accanimento e “no” all’abbandono. A mio avviso non c’era bisogno di una legge sul biotestamento ma bisognava soltanto risottolineare i compiti e le qualità delle azioni del medico. Ai promotori della legge dico che nessuna norma può definire con esattezza e completezza tutti i compiti e tutte le azioni che spettano al medico e che sono riferite al prendersi cura della persona e della sua fragilità. Ho ascoltato il messaggio del Santo Padre Francesco ai partecipanti al Meeting regionale europeo della “World Medical Association” sulle questioni del ‘fine vita’ e ho ritrovato nelle parole del Papa sapienza e saggezza e risottolineatura coerente e ferma di quanto da tempo immemorabile è scritto e riportato nel Magistero della Chiesa. Papa Francesco lo ha fatto, come è nel suo stile, con parole forti, estremamente comprensibili e non equivocabili. Un medico che vive con dignità il proprio impegno professionale è premessa irrinunciabile per una migliore qualità della relazione medico-paziente ed una attenzione ai bisogni sanitari di tutti. Così si realizza la dignità umana e si vive la profonda umanità del medico.
Il Presidente Nazionale Filippo Boscia
(Foto: da sinistra a destra, Boscia, Ars, Simon e Defilippis)
Roma, 17 novembre 2017