L’IRRICEVIBILE PROPOSTA DI VIETARE L’OBIEZIONE DI COSCIENZA. IL VERO FONDAMENTO DELL’OBIEZIONE DI COSCIENZA.
03-03-2017 – di Samuele Cecotti
L’editoriale parso sulla rivista Micromega del 25 febbraio di Paolo Flores d’Arcais intitolato “Aborto, abrogare l’obiezione è l’unica soluzione”, prendendo spunto dalla vicenda laziale dell’assunzione, da parte della Regione, di due medici ginecologi non-obiettori vincolati contrattualmente alla pratica delle interruzioni di gravidanza (i due neo-assunti si impegnano a praticare aborti pena il licenziamento per inadempienza contrattuale), si fa promotore d’una sostanziale modifica della legge 194 con l’abrogazione del diritto all’obiezione di coscienza ivi sancito.
Si potrebbe rispondere al direttore di Micromega in molti modi, ad esempio ricordando il rilievo costituzionale del diritto all’obiezione di coscienza, oppure, scendendo sul terreno delle sue argomentazioni, rilevando che la pratica degli aborti non è la funzione propria del medico ginecologo (che è invece la cura delle patologie afferenti l’apparato genitale femminile) e che dunque il rifiuto a praticarli da parte dei ginecologi obiettori non è assimilabile al rifiuto di un ipotetico militare di carriera (ipotesi svolta come esempio da Flores d’Arcais) che rinnegasse l’uso delle armi, dove l’uso delle armi è il proprio del militare.
Piuttosto i medici obiettori sono assimilabili a quegli insegnanti che, innanzi alla pretesa d’un regime di trasformarli in indottrinatori della gioventù all’ideologia ufficiale, volessero continuare a insegnare lettere, storia, matematica, geografia, etc. ovvero ad essere insegnanti e non diventare propagatori dell’ideologia di partito. Oppure a quei medici che, di fronte a improprie richieste dello Stato (es. distinguere i pazienti per razza, applicare protocolli eugenetici e non di cura, ad esempio, finalizzati alla eliminazione di certi soggetti) volessero continuare ad essere medici e semplicemente medici, ovvero professionisti dediti alla cura del malato.
La professione del medico ginecologo consta nella cura delle malattie di un determinato apparato del corpo umano femminile e, dal momento che la gravidanza non è una malattia e l’aborto non è una cura, non nella pratica di ivg. La dignità della professione medica, così come la sua deontologia, anche ove non si volesse considerare la natura in se stessa criminale dell’aborto, imporrebbero ai medici il rifiuto di detta pratica. Non è quindi anti professionale, come sostiene Flores d’Arcais, il rifiuto, bensì lo è l’acconsentirvi trattandosi di una pratica che in nulla può essere definita come curativa e, dunque, estranea (in quanto omicidio, poi, contraria) alla ratio della professione medica.
Ciò detto, dobbiamo avere il coraggio di riconoscere la debolezza di una posizione pro-vita che facesse forza sul diritto all’obiezione di coscienza così come sancito dalla 194 o come emergente dal dettato costituzionale interpretato dalla giurisprudenza della Consulta. Debolezza non solo perché tale diritto sarebbe facilmente negabile da una iniziativa legislativa o da un nuovo pronunciamento della Corte Costituzionale, non solo perché i segni di un progressivo cedimento ed erosione ci sono già tutti (l’iniziativa della Regione Lazio è un esempio ma la negazione del diritto all’obiezione di coscienza potrebbe facilmente venire dalla giurisprudenza europea in materia di aborto, etc.) ma perché è la ratio dell’obiezione di coscienza così come intesa dal nostro vigente ordinamento ad essere in se stessa problematica. Lo dobbiamo dire, ammettendo così che molti, troppi impegnati nella battaglia per la vita si sono lasciati abbagliare, come allodole, dagli specchietti della 194 sino all’assurdo odierno di cattolici schierati a difensori della 194, impegnati a rivendicarne lo spirito e la piena attuazione.
L’errore è antico, essersi illusi, forse per spirito irenico, che bastasse il riconoscimento dell’obiezione di coscienza per rendere accettabile lo scandalo dell’omicidio di Stato a danno dei concepiti non ancora partoriti. Una simile logica è perversa e pervertitrice perché porta alla pacifica accettazione del male, ad un relativismo cinico. Che lo Stato uccida pure, che l’ospedale in cui lavoro uccida pure, che il collega con il quale lavoro gomito a gomito tutti i giorni uccida pure, purché non lo debba fare io. Ovviamente non intendiamo affermare che tale cinismo sia dei medici obiettori, piuttosto rileviamo che questa è la logica della 194 riguardo l’obiezione di coscienza.
Vi è in tutto ciò uno spaventoso e inaccettabile soggettivismo quasi che il bene e il male siano questione tutta individuale, di personale coerenza con una propria soggettiva convinzione. L’obiezione di coscienza è intesa come un diritto alla coerenza con la propria opinione, indifferentemente da quale sia questa opinione, dalla sua fondatezza o meno, dalla sua verità o falsità.
E i cattolici, non tutti ma molti, ci sono cascati, in questa logica folle. Che poi, paradossalmente, è la stessa logica dei radicali nel loro sostenere aborto, eutanasia, etc. .. la logica dell’autodeterminazione individuale. L’obiezione di coscienza come sancita dall’ordinamento vigente è una particolare declinazione del principio di autodeterminazione, lo stesso invocato a fondamento dei pretesi diritti all’eutanasia, al suicidio (assistito), all’aborto (letto, peraltro, come autodeterminazione della donna), etc. Assente, completamente assente, il piano oggettivo della verità, del bene, della giustizia. Tutto è risolto nel “diritto” a disporre liberamente di sé, ad obbedire unicamente alla propria opinione: il nichilista lo eserciterà nel suicidio, il testimone di Geova (per citare un esempio svolto da Flores d’Arcais) nel rifiutare la trasfusione di sangue, il ginecologo pro-vita nel rifiutarsi di praticare aborti.
Ovviamente i ginecologi e gli infermieri fanno bene a esercitare l’obiezione di coscienza , lo scriviamo per non essere fraintesi. Ciò che contestiamo è la logica della 194 (obiezione di coscienza compresa) e non la sacrosanta e doverosa scelta pro-vita degli obiettori. La 194 è diabolica anche lì dove appare buona, ovvero dove concede il diritto all’obiezione di coscienza perché lo sancisce secondo la ratio liberal-radicale del principio di autodeterminazione individuale, del soggettivistico diritto alla coerenza con la propria opzione. Il rifiuto ad uccidere degli obiettori diventa una mera opzione soggettivamente scelta, parimenti opzione soggettivamente scelta è quella di uccidere dei non-obiettori. E a garantire il diritto della opzione pro-vita è la legge positiva dello Stato che introduce l’omicidio di Stato dei concepiti non ancora partoriti.
L’obiezione vera non è quella prevista dalla 194 ma quella classico-cristiana, quella che il professor Castellano ha denominato “obiezione della coscienza” (per distinguerla dalla “obiezione di coscienza” della vulgata contemporanea) ovvero il giudizio della ragione pratica che riconosce come male l’obbedienza ad una certa norma perché la norma stessa è riconosciuta come ingiusta. L’obiezione della coscienza non rivendica il diritto alla coerenza con una propria convinzione ma il dovere di disobbedire e resistere alla legge ingiusta, non si colloca nel soggettivo ma giudica la norma positiva alla luce di un ordine oggettivo di giustizia razionalmente conosciuto, non si chiude nel privato ma, dichiarando ingiusta la norma che disobbedisce, pone la questione sul piano pubblico del bene (comune) e della legittimità.
L’obiezione della coscienza è sempre una contestazione del potere che ha legiferato perché in se stessa afferma, mentre disobbedisce, l’illegittimità della norma contestata. L’obiezione della coscienza è sempre, se è vera obiezione, una sfida al potere ingiusto, un “Non ti è lecito!” (Mc 6, 18) detto in faccia allo Stato.
Si diceva che i cattolici, i pro-vita sono stati in molti abbagliati dagli specchietti per allodole della 194 e ora si giunge così al paradosso che, mentre i laicisti radicali culturalmente e legislativamente vincitori lavorano per modificare la 194 in senso peggiorativo, i cattolici se ne fanno difensori.
La militanza cattolica e pro-vita deve invece fuggire dalla trappola liberal-radicale, rifiutare la logica del principio di autodeterminazione (che sostanzia pure il principio dell’obiezione di coscienza intesa come diritto al coerenza con se stessi, con la propria opinione), esercitare la vera obiezione della coscienza ovvero disobbedire alla legge perché ingiusta, dichiararla ingiusta, dichiararla illegittima, riaffermare il principio razionale per il quale una legge ingiusta non è legge ma corruzione della legge e non obbliga proprio nessuno. Affermare con forza che una legge non è “che un comando della ragione ordinato al bene comune, promulgato da chi è incaricato di una collettività” (S. th. I-II, q. 90, a. 4), non un atto di volontà sovrana, e che dunque “la legge umana in tanto è tale in quanto è conforme alla retta ragione e quindi deriva dalla legge eterna. Quando invece una legge è in contrasto con la ragione, la si denomina legge iniqua; in tal caso però cessa di essere legge e diviene piuttosto un atto di violenza” (S. th. I-II, q. 93, a. 3, ad 2). Contestare, insomma, il positivismo giuridico e il convenzionalismo normativo, riaffermare il diritto naturale per non finire, come purtroppo oggi molti, a tentare di difendere la vita con i principi dei radicali e trovarsi poi quasi inavvertitamente a difendere i principi dei radicali mettendo tra parentesi la difesa della vita.
L’obiezione all’aborto deve essere contestazione di legittimità alla legge che lo consente, deve essere affermazione della verità che l’aborto è omicidio, che chi lo pratica non esercita una opzione tra opzioni ma si macchia di un orrendo delitto. In ultima analisi l’obiezione all’aborto non può essere irenica verso chi lo compie, verso lo Stato che lo consente e pratica, se vera obiezione è necessariamente denuncia di illegittimità e accusa.
Don Samuele Cecotti