L’enciclica di Papa Francesco Laudato si’: un inno di lode al Creatore
Dott. Ermanno Pavesi
(Autunno 2018)
Ringrazio gli organizzatori per l’occasione che mi è stata offerta di presentare l’enciclica LS a questa settimana francescana, e soprattutto di poter descrivere il suo spirito autenticamente francescano che non sempre viene adeguatamente sottolineato.
Dal mio osservatorio limitato non posso pretendere di dare un giudizio complessivo su come l’enciclica è stata recepita, ma sulla base dei commenti e delle interpretazioni ho l’impressione che l’enciclica sia stata catalogata come una “enciclica ecologica” e in questo modo è stata, per così dire, bruciata. La mia percezione è che spesso i commentatori non tengono conto che si tratta di un’enciclica. Un pontefice scrive un’enciclica quando ci sono dei problemi importanti e, per orientare i fedeli, dopo aver descritto la situazione, la interpreta alla luce del Magistero, della Tradizione e della Bibbia, fornisce elementi di giudizio e di discernimento e, alla fine, raccomanda ciò che si può o si deve fare.
Di questioni ambientali si parla ormai da decenni, movimenti politici ne hanno fatto una bandiera, i media riferiscono quasi quotidianamente di inquinamenti, di danni alla salute dovuti all’inquinamento, di specie animali minacciate di estinzione, di catastrofi naturali dovute ai cambiamenti del clima. In questa situazione ci si può domandare che cosa può dire di nuovo un’enciclica, oltre al fatto che anche il Magistero avrebbe incominciato a interessarsi delle questioni ambientali e che i fedeli dovrebbero rispettare l’ambiente. Questo può spiegare le reazioni all’enciclica, con alcune posizioni estreme: alcuni pur apprezzando che la Chiesa si interessi dell’ecologia, sottolineano come tale interesse sia tardivo, mentre i loro movimenti combattono questa battaglia da decenni e autori ecologisti hanno scritto innumerevoli libri su questi temi, e considerano l’enciclica solamente con un appoggio della Chiesa alle loro tesi, altri invece hanno reagito addirittura con una certa insofferenza, e si sono chiesti se il Magistero non abbia temi più importanti di cui occuparsi. Questi pregiudizi hanno fatto considerare superfluo l’approfondimento dell’enciclica.
Quando si legge un’enciclica si deve tener presente che, nella maggioranza dei casi, è stata certamente scritta per l’urgenza di un problema del momento, ma non si tratta della semplice descrizione di un situazione particolare, bensì della sua interpretazione alla luce di principi generali del Magistero.
La descrizione della situazione è certamente importante, ma si basa su uno spaccato della situazione attuale alla luce dello stato delle conoscenze, e la LS è piuttosto prudente su alcune questioni, ad esempio per quanto riguarda il riscaldamento del pianeta dice che “Esiste un consenso scientifico molto consistente che indica che siamo in presenza di un preoccupante riscaldamento del sistema climatico” (n. 23), parlare di “un consenso scientifico molto consistente” implica anche il riconoscimento che il consenso scientifico non è unanime. Anche a proposito degli Organismi geneticamente modificati e di altre questioni la LS non prende posizione e invita a ulteriori approfondimenti interdisciplinari che tengano conto di tutti gli aspetti, non solo degli effetti immediati ma anche delle conseguenze a lungo termine. Ma più che la descrizione di fatti abbondantemente noti, è importante cercare di comprendere il suo contributo originale, cioè i criteri di giudizio, i principi che stanno alla base della lettura del fenomeno e le rispettive applicazioni. Ma questo richiede una lettura integrale dell’enciclica dall’inizio alla fine, o ancor meglio una rilettura e un suo studio, per verificare se le nostre interpretazioni corrispondono effettivamente al testo, o se invece vi sono dei passaggi che le contraddicono.
L’entusiasmo con il quale la LS è stata accolta da ambienti ecologisti è comprensibile, e in vari passaggi l’enciclica ne riconosce i meriti, d’altra parte non mi sembra che vengano prese in considerazione alcune critiche ai movimenti ecologisti, ad esempio:
“Dal momento che tutto è in relazione, non è neppure compatibile la difesa della natura con la giustificazione dell’aborto” (n. 120).
“D’altro canto, è preoccupante il fatto che alcuni movimenti ecologisti difendano l’integrità dell’ambiente, e con ragione reclamino dei limiti alla ricerca scientifica, mentre a volte non applicano questi medesimi principi alla vita umana. Spesso si giustifica che si oltrepassino tutti i limiti quando si fanno esperimenti con embrioni umani vivi”. (n.136)
L’enciclica sottolinea pure come il consumo di droghe abbia conseguenze disastrose anche nei paesi produttori: “Così per esempio, il consumo di droghe nelle società opulente provoca una costante o crescente domanda di prodotti che provengono da regioni impoverite, dove si corrompono i comportamenti, si distruggono vite e si finisce col degradare l’ambiente”. (n. 142), i cartelli delle droghe in varie regioni, come nel Messico o in Colombia, rovinano l’economia reale, sconvolgono il tessuto sociale e compromettono l’equilibrio ecologico, diffondono corruzione e criminalità, fino a un gran numero di omicidi.
Questi pochi esempi possono già mostrare un approccio differente al problema ambientale, come possono mostrare due passaggi del secondo capitolo e uno del terzo:
«dire “creazione” è più che dire natura, perché ha a che vedere con un progetto dell’amore di Dio, dove ogni creatura ha un valore e un significato. La natura viene spesso intesa come un sistema che si analizza, si comprende e si gestisce, ma la creazione può essere compresa solo come un dono che scaturisce dalla mano aperta del Padre di tutti, come una realtà illuminata dall’amore che ci convoca ad una comunione universale» (n. 76).
La questione ecologica è interpretata alla luce della teologia della creazione, e c’è una differenza sostanziale se l’ambiente viene visto come creazione o come natura.
La seconda citazione ricorda che «l’esistenza umana si basa su tre relazioni fondamentali strettamente connesse: la relazione con Dio, quella con il prossimo e quella con la terra. Secondo la Bibbia, queste tre relazioni vitali sono rotte, non solo fuori, ma anche dentro di noi. Questa rottura è il peccato. L’armonia tra il Creatore, l’umanità e tutto il creato è stata distrutta per avere noi preteso di prendere il posto di Dio, rifiutando di riconoscerci come creature limitate» (n. 66).
Ogni civiltà è caratterizzata dal modo in cui sono interpretate queste tre relazioni fondamentali, ed è anche qualcosa che ogni individuo sperimenta durante il proprio sviluppo: il bambino all’inizio non sa ancora distinguere tra uomini e animali, tra essere viventi e inanimati, con il tempo si accorge che esistono esseri con i quali ha una relazione più stretta, con i quali può colloquiare, e distingue gli esseri umani dall’ambiente, in un tempo successivo si può chiedere se la realtà nella quale vive è sempre esistita oppure se ha avuto un inizio e un’origine, a questa domanda alcune civiltà hanno dato una risposta mitologica, altre una risposta religiosa, altre ancora una filosofica, il mondo moderno propone un’interpretazione materialistica e naturalistica. Ma per la tradizione dell’Antico e del Nuovo Testamento, Dio è il Creatore, l’uomo la creatura e la natura il creato.
Esiste quindi un’interdipendenza: l’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio, il creato porta le tracce del creatore, come afferma san Paolo nella Lettera ai Romani: “Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità” (Rm. 1,20), e anche tra la creatura e il creato esiste un’interdipendenza, l’uomo è stato a volte considerato come una ricapitolazione della creazione, un cosmo in piccolo, un microcosmo rispetto al cosmo nella sua totalità, il macrocosmo. Per questo i problemi ambientali non possono essere esaminati separatamente dalle relazioni interpersonali e dalla relazione dell’uomo con Dio, come sostiene la terza citazione: «non si può proporre una relazione con l’ambiente a prescindere da quella con le altre persone e con Dio. Sarebbe un individualismo romantico travestito da bellezza ecologica e un asfissiante rinchiudersi nell’immanenza» (n. 119). L’apertura alla trascendenza diventa la condizione imprescindibile per inquadrare correttamente la questione ambientale.
La struttura dell’enciclica
L’enciclica non ü un insieme di tesi in ordine casuale, ma presenta un filo logico e una struttura ben precisa, che è necessario analizzare per comprendere l’enciclica L’enciclica consiste di un’introduzione e di sei capitoli.
L’introduzione (nn.1-16) riporta una serie di citazioni riguardanti temi ecologici, tratte da documenti del Magistero, soprattutto di san Giovanni Paolo II, ma anche di Benedetto XVI e di numerose conferenze episcopali. Ma anche tutta la LS utilizza ampiamente citazioni del Magistero, delle 170 citazioni più di sessanta sono tratte da documenti dei due predecessori di papa Francesco, poco meno sono le citazioni di una quindicina di conferenze episcopali di tutto il mondo, dal Canada all’Australia, dal Paraguay alla Germania. La LS si inserisce nel solco della tradizione, non rappresenta qualcosa di completamente nuovo nella Chiesa, ma piuttosto la trattazione sistematica operata da papa Francesco di dichiarazioni del Magistero sparse in un’infinità di documenti, naturalmente anche con il suo apporto originale.
Il primo capitolo (nn. 17-61), dal titolo Quello che sta accadendo nella nostra casa offre una prima descrizione dei problemi ambientali.
Il secondo capitolo (nn. 62-100), dal titolo Il Vangelo della creazione, è senz’altro il più importante, fornisce infatti l’interpretazione della crisi ecologica dal punto di vista della Sacra Scrittura e della teologia della creazione utilizzando “i grandi racconti biblici sul rapporto dell’essere umano con il mondo” (n. 65).
Nel terzo capitolo (nn. 101-136), La radice umana della crisi ecologica, la causa del degrado ambientale è attribuita tanto a un uso della tecnica che non tiene conto dell’ordine intrinseco delle creature, ma tende a sfruttare risorse naturali soprattutto per interessi individuali ed economici, quanto a un consumismo, che l’enciclica definisce compulsivo e ossessivo.
Il quarto capitolo (nn. 137-162), Un’ecologia integrale, allarga la prospettiva, sottolineando la stretta relazione esistente tra degrado ambientale e degrado sociale, ed esamina anche varie forme di sfruttamento.
Il quinto capitolo (nn. 163-201), Alcune linee di orientamento e di azione, denuncia gli scarsi risultati delle politiche ambientali nazionali e internazionali, e propone alcuni interventi e cambiamenti del comportamento per migliorare l’efficienza delle politiche ambientali. La conclusione del capitolo, rivendicando il contributo che la religione può offrire alla discussione generale sull’ecologia, introduce il capitolo successivo.
Il sesto e ultimo capitolo (nn. 202-246), Educazione e spiritualità ecologica, sottolinea la
necessità assoluta di un cambiamento di stile di vita, che coincide con la conversione personale, che sola consente di «recuperare i diversi livelli dell’equilibrio ecologico: quello interiore con sé stessi, quello solidale con gli altri, quello naturale con tutti gli esseri viventi, quello spirituale con Dio» (n. 210).
Volendo schematizzare al massimo il filo logico dell’enciclica, possiamo dire che dopo aver ricordato il Magistero precedente e la descrizione di problemi ambientali, l’enciclica fornisce una spiegazione della causa dei disordini anche ambientali alla luce del Magistero, della Dottrina sociale della Chiesa e della Teologia cattolica. Nei capitoli successivi lo schema dei rapporti dell’uomo con Dio, con gli altri esseri umani e con l’ambiente viene ripreso in senso inverso, il capitolo terzo analizza i problemi con l’ambiente, il quarto quelli sociali, il quinto mostra i limiti degli approcci diciamo “laici” e nel sesto viene mostrata l’importanza per un’ecologia integrale del rapporto dell’uomo con Dio infine ritiene che una trasformazione in senso ecologico della società umana deve partire anche dal basso, con il cambiamento dello stile di vita del singolo e all’interno di realtà sociali più o meno grandi. L’enciclica si rivolge non solo a cattolici ma anche a tutti gli uomini di buona volontà, credenti o no, e utilizza molto spesso un linguaggio accessibile a tutti, però in molti casi si esprime in modo più esplicito: la causa ultima dei disordini nella società umana è il peccato e il rimedio è la conversione individuale.
Dopo questa introduzione, cercherò di segnalare gli aspetti più salienti dell’enciclica.
Il primo capitolo (nn.17-61) inizia precisando che “prima di riconoscere come la fede apporta nuove motivazioni ed esigenze” è necessario fornire una descrizione dei problemi ambientali. Si tratta già di un’importante dichiarazioni d’intenti: l’enciclica si propone di dare un apporto alla questione ecologica dal punto di vista della fede.
I vari problemi ambientali, come il riscaldamento globale, i mutamenti climatici, la questione dei rifiuti, l’inquinamento, la perdita di biodiversità vengono ricondotti ad alcuni fattori: la fiducia nel progresso alimentata dalla sopravvalutazione delle possibilità della tecnologia di risolvere le conseguenze negative del progresso, l’economia dominata solo dalla logico del profitto e la cultura dello scarto collegata con il consumismo. “Questi problemi sono intimamente legati alla cultura dello scarto” (N.22).
Due passaggi del secondo capitolo ne hanno già indicato l’elemento centrale: la teologia della Creazione. Cioè che Dio è il creatore, l’uomo la creatura e la natura la creazione, e che «dire “creazione” è più che dire natura, perché ha a che vedere con un progetto dell’amore di Dio, dove ogni creatura ha un valore e un significato. La natura viene spesso intesa come un sistema che si analizza, si comprende e si gestisce, ma la creazione può essere compresa solo come un dono che scaturisce dalla mano aperta del Padre di tutti, come una realtà illuminata dall’amore che ci convoca ad una comunione universale» (n. 76). Questo comporta un atteggiamento particolare nei confronti della natura, non si tratta di materia inerte e manipolabile a piacimento, e neanche di risorse inesauribili.
L’enciclica respinge visioni del mondo che negano la creazione: «Così ci viene indicato che il mondo proviene da una decisione, non dal caos o dalla casualità, e questo lo innalza ancora di più. Vi è una scelta libera espressa nella parola creatrice» (n. 77). Più avanti il
concetto di “parola creatrice” viene chiarito ulteriormente: «Il prologo del Vangelo di Giovanni (1,1-18) mostra l’attività creatrice di Cristo come Parola divina (Logos)» (n. 99). “In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste” (Gv, 1, 1-3).
La natura diventa quindi il luogo di una rivelazione divina e proprio «san Francesco, fedele alla Scrittura, ci propone di riconoscere la natura come uno splendido libro nel quale Dio ci parla e ci trasmette qualcosa della sua bellezza e della sua bontà» (n. 12).
Considerare la natura come creazione, cioè come manifestazione del piano divino, la valorizza, ma contemporaneamente, sottolineando la distanza che la separa da Dio, la “demitizza” (cfr. n. 78), e non le attribuisce neppure una dignità pari a quella dell’uomo. Considerare la natura una manifestazione di Dio «non significa equiparare tutti gli
esseri viventi e togliere all’essere umano quel valore peculiare che implica allo stesso tempo una tremenda responsabilità. E nemmeno comporta una divinizzazione della terra, che ci priverebbe della chiamata a collaborare con essa e a proteggere la sua fragilità. Queste
concezioni finirebbero per creare nuovi squilibri nel tentativo di fuggire dalla realtà che ci interpella» (n. 90).
Un’antropologia adeguata deve riconoscere la superiorità dell’uomo rispetto agli altri enti di natura, la particolarità delle funzioni psichiche dell’uomo e la loro non riducibilità a processi naturali, fisici e biologici. L’enciclica respinge, quindi, la pretesa delle scienze moderne, e in particolare di certe correnti delle neuroscienze e della neurofilosofia, di spiegare l’attività psichica come un fenomeno naturale e come risultato di un processo evolutivo: «L’essere umano, benché supponga anche processi evolutivi, comporta una novità non pienamente spiegabile dall’evoluzione di altri sistemi aperti. Ognuno di noi dispone in sé di un’identità personale in grado di entrare in dialogo con gli altri e con Dio stesso. La capacità di riflessione, il ragionamento, la creatività, l’interpretazione, l’elaborazione artistica
ed altre capacità originali mostrano una singolarità che trascende l’ambito fisico e biologico. La novità qualitativa implicata dal sorgere di un essere personale all’interno dell’universo materiale presuppone un’azione diretta di Dio, una peculiare chiamata alla vita e alla relazione di un Tu a un altro tu. A partire dai testi biblici, consideriamo la persona come soggetto, che non può mai essere ridotto alla categoria di oggetto» (n. 81).
La concezione dell’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio «ci mostra l’immensa dignità di ogni persona umana» (n. 65), ma, contemporaneamente, comporta l’accettazione della legge divina e della dignità del creato.
L’enciclica respinge l’accusa che il discorso biblico avrebbe alimentato un atteggiamento possessivo e dominatore della natura, al contrario, “Proprio per la sua dignità unica e per essere dotato di intelligenza, l’essere umano è chiamato a rispettare il creato con le sue leggi interne, poiché «il Signore ha fondato la terra con sapienza» (Pr 3,19)” (69). Ma l’uomo non ha accettato il suo ruolo di creatura e “Questo fatto ha distorto anche la natura del mandato di soggiogare la terra (cfr Gen 1,28) e di coltivarla e custodirla (cfr Gen 2,15). Come risultato, la relazione originariamente armonica tra essere umano e natura si è trasformato in un conflitto (cfr Gen 3,17-19).” (n. 66). E “Proprio per la sua dignità unica e per essere dotato di intelligenza, l’essere umano è chiamato a rispettare il creato con le sue leggi interne, poiché «il Signore ha fondato la terra con sapienza» (Pr 3,19)”. (n. 69) Il rifiuto di questo ruolo, invece, ha dato origine a “un antropocentrismo dispotico” (n. 68) e “deviato” (69).
“In realtà, l’intervento umano che favorisce il prudente sviluppo del creato è il modo più adeguato di prendersene cura, perché implica il porsi come strumento di Dio per aiutare a far emergere le potenzialità che Egli stesso ha inscritto nelle cose” (n.124).
Negato il Creatore, il rapporto uomo-natura può essere di due tipi: l’uomo viene considerato come una particella della natura e quindi si può cadere nel biologismo, oppure l’uomo viene considerato come superiore alla natura, con il rischio di cadere in un antropocentrismo assoluto.
E come suggello del modello proposto da san Francesco, il paragrafo 88 riporta il testo integrale del Cantico delle Creature.
La distinzione tra un intervento umano che può aiutare a fare emergere le potenzialità delle cose e un antropocentrismo dispotico aiuta a capire nel terzo capitolo la differenza tra un uso legittimo dei progressi scientifici per il miglioramento della qualità della vita, a questo proposito l’enciclica parla di “tecnoscienza”, e il “paradigma tecnocratico” che non riconosce né valori morali assoluti né l’ordine delle cose e tra le cose, e che subordinato all’economia opera solo con una logica della massimizzazione del profitto. Alla base c’è il relativismo: “Quando l’essere umano pone sé stesso al centro, finisce per dare priorità assoluta ai suoi interessi contingenti, e tutto il resto diventa relativo. Perciò non dovrebbe meravigliare il fatto che, insieme all’onnipresenza del paradigma tecnocratico e all’adorazione del potere umano senza limiti, si sviluppi nei soggetti questo relativismo, in cui tutto diventa irrilevante se non serve ai propri interessi immediati.” (122)
L’enciclica sfata anche uno dei miti della modernità, quelli dell’autonomia e dell’autodeterminazione. Il termine autonomia deriva dal greco, da autòs sé stesso e nòmos legge, e significa che l’individuo non riconosce leggi o norme, ma è lui stesso che pretende di decidere le norme del proprio comportamento. Da decenni la cultura imperante propaga una cultura relativista, che in nome del pluralismo non riconosce valori e principi assoluti, addirittura esponenti della cultura di massa predicano da decenni la disobbedienza come valore, e da 60 anni in molti paesi i libri del pediatra e psicoanalista americano Benjamin Spock pubblicati in innumerevoli edizioni hanno insegnato che la migliore educazione per i bambini è quella antiautoritaria. Basti pensare con quale compiacimento nei media si parla di trasgressione, la moda deve essere trasgressiva, le ferie o una festa devono essere trasgressive.
Così educato, o diseducato, l’uomo moderno pensa di essere libero, perché non rispetta norme, ma non si rende conto che senza principi, senza una coscienza morale adeguatamente formata è solo in balìa delle proprie passioni o delle pressioni dei gruppi, dei media e delle mode. A questo proposito l’enciclica sostiene che “L’essere umano non è pienamente autonomo. La sua libertà si ammala quando si consegna alle forze cieche dell’inconscio, dei bisogni immediati, dell’egoismo, della violenza brutale. In tal senso, è nudo ed esposto di fronte al suo stesso potere che continua a crescere, senza avere gli strumenti per controllarlo. Può disporre di meccanismi superficiali, ma possiamo affermare che gli mancano un’etica adeguatamente solida, una cultura e una spiritualità che realmente gli diano un limite e lo contengano entro un lucido dominio di sé”. (105).
“La cultura ecologica non si può ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo al degrado ambientale, all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento. Dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico”. (111)
Il quarto capitolo sottolinea la relazione tra società e ambiente e quindi che la crisi è socio-ambientale e che per questo è necessario tener conto dell’ecologia umana e sociale. Anche un popolo con la sua cultura può essere considerato come un ecosistema, del quale si deve tener conto.
“Insieme al patrimonio naturale, vi è un patrimonio storico, artistico e culturale, ugualmente minacciato. È parte dell’identità comune di un luogo e base per costruire una città abitabile. Non si tratta di distruggere e di creare nuove città ipoteticamente più ecologiche, dove non sempre risulta desiderabile vivere. Bisogna integrare la storia, la cultura e l’architettura di un determinato luogo, salvaguardandone l’identità originale”. (143)
“È necessario assumere la prospettiva dei diritti dei popoli e delle culture, e in tal modo comprendere che lo sviluppo di un gruppo sociale suppone un processo storico all’interno di un contesto culturale e richiede il costante protagonismo degli attori sociali locali a partire dalla loro propria cultura.” (144).
La LS esprime anche la preoccupazione per la omogeneizzazione delle differenti culture a causa del globalismo:
“La visione consumistica dell’essere umano, favorita dagli ingranaggi dell’attuale economia globalizzata, tende a rendere omogenee le culture e a indebolire l’immensa varietà culturale, che è un tesoro dell’umanità” (144)
Il rispetto per la natura e l’ambiente non può escludere il rispetto per la componente naturale dell’essere umano, cioè per il suo corpo.
“L’ecologia umana implica anche qualcosa di molto profondo: la necessaria relazione della vita dell’essere umano con la legge morale inscritta nella sua propria natura […]. Affermava Benedetto XVI che esiste una «ecologia dell’uomo» perché «anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere». In questa linea, bisogna riconoscere che il nostro corpo ci pone in una relazione diretta con l’ambiente e con gli altri esseri viventi. […] Anche apprezzare il proprio corpo nella sua femminilità o mascolinità è necessario per poter riconoscere sé stessi nell’incontro con l’altro diverso da sé. […] Pertanto, non è sano un atteggiamento che pretenda di «cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa»”.[121]
La crisi ecologica è anche una crisi antropologica del mondo postmoderno:
“La difficoltà a prendere sul serio questa sfida è legata ad un deterioramento etico e culturale, che accompagna quello ecologico. L’uomo e la donna del mondo postmoderno corrono il rischio permanente di diventare profondamente individualisti, e molti problemi sociali attuali sono da porre in relazione con la ricerca egoistica della soddisfazione immediata, con le crisi dei legami familiari e sociali, con le difficoltà a riconoscere l’altro”. (162).
Il quinto capitolo riconosce l’importanza di varie conferenze internazionali sull’ambiente e dei protocolli approvati, ritiene però molto insufficiente la loro applicazione, dovuta ai limiti delle politiche nazionali: provvedimenti a favore dell’ecologia mostrerebbero benefici solo a lunga scadenza, mentre comporterebbero subito rinunce e limitazioni ai cittadini , e “la politica [è] focalizzata su risultati immediati” (178) per questo sarebbero per lo più impopolari e i politici per lo più cercano il consenso immediato.
“Tuttavia, bisogna aggiungere che i migliori dispositivi finiscono per soccombere quando mancano le grandi mete, i valori, una comprensione umanistica e ricca di significato, capaci di conferire ad ogni società un orientamento nobile e generoso”. (181)
Sensibilità anche per il bene comune, quindi il superamento dell’individualismo, e dell’egoismo per conciliare il proprio bene individuale con quello della propria società.
L’ultimo capitolo contiene delle considerazioni conclusive: Premesso che l’enciclica appare piuttosto pessimista riguardo alla possibilità di un cambiamento del paradigma tecnocratico, soggetto alla forza della finanza e non limitato dalla debolezza della politica, una via per il miglioramento della situazione viene indicata nel mutamento dello stile di vita individuale: il cambiamento deve cominciare dal singolo, e si augura che “Un cambiamento negli stili di vita potrebbe arrivare ad esercitare una sana pressione su coloro che detengono il potere politico, economico e sociale” (n. 206). Se un consumismo compulsivo è il corrispettivo del paradigma tecnocratico, nessun uomo è talmente condizionato da non potersi sottrarre alla seduzione del consumismo. Un tale cambiamento individuale rappresenta anche “una sfida educativa” (n. 209), soprattutto perché richiede un autocontrollo che è possibile solo con la pratica delle virtù, con la subordinazione delle passioni e degli istinti alla rgione, con la rinuncia alla loro soddisfazione immediata per perseguire il proprio bene più autentico: “Solamente partendo dal coltivare solide virtù è possibile la donazione di sé in un impegno ecologico” (n. 211).
213. Gli ambiti educativi sono vari: la scuola, la famiglia, i mezzi di comunicazione, la catechesi, e altri. Una buona educazione scolastica nell’infanzia e nell’adolescenza pone semi che possono produrre effetti lungo tutta la vita. Ma desidero sottolineare l’importanza centrale della famiglia
In questo capitolo assistiamo a un crescendo: la teoria delle virtù può essere condivisa anche da un non cattolico, così come è stata formulata da filosofi antichi pagani ed è stata recepita anche da pensatori laici.
Ma “la crisi ecologica è un appello a una profonda conversione interiore” (n. 217) e viene ricordato san Francesco d’Assisi, “per proporre una sana relazione col creato come una dimensione della conversione integrale della persona. Questo esige anche di riconoscere i propri errori, peccati, vizi o negligenze, e pentirsi di cuore, cambiare dal di dentro”. (218)
“Diverse convinzioni della nostra fede, sviluppate all’inizio di questa Enciclica, aiutano ad arricchire il senso di tale conversione, come la consapevolezza che ogni creatura riflette qualcosa di Dio e ha un messaggio da trasmetterci, […] Come pure il riconoscere che Dio ha creato il mondo inscrivendo in esso un ordine e un dinamismo che l’essere umano non ha il diritto di ignorare”. (221)
224. La sobrietà e l’umiltà non hanno goduto nell’ultimo secolo di una positiva considerazione. Quando però si indebolisce in modo generalizzato l’esercizio di qualche virtù nella vita personale e sociale, ciò finisce col provocare molteplici squilibri, anche ambientali. Per questo non basta più parlare solo dell’integrità degli ecosistemi. Bisogna avere il coraggio di parlare dell’integrità della vita umana, della necessità di promuovere e di coniugare tutti i grandi valori. La scomparsa dell’umiltà, in un essere umano eccessivamente entusiasmato dalla possibilità di dominare tutto senza alcun limite, può solo finire col nuocere alla società e all’ambiente. Non è facile maturare questa sana umiltà e una felice sobrietà se diventiamo autonomi, se escludiamo dalla nostra vita Dio e il nostro io ne occupa il posto, se crediamo che sia la nostra soggettività a determinare ciò che è bene e ciò che è male.
“I Sacramenti sono un modo privilegiato in cui la natura viene assunta da Dio e trasformata in mediazione della vita soprannaturale. Attraverso il culto siamo invitati ad abbracciare il mondo su un piano diverso. L’acqua, l’olio, il fuoco e i colori sono assunti con tutta la loro forza simbolica e si incorporano nella lode” (n. 235) e “Nell’Eucaristia il creato trova la sua maggiore elevazione” (n. 236).
Uno degli ultimi passaggi ricorda Maria nei due ultimi misteri gloriosi del santo rosario: “Elevata al cielo, è Madre e Regina di tutto il creato. Nel suo corpo glorificato, insieme a Cristo risorto, parte della creazione ha raggiunto tutta la pienezza della sua bellezza”. (241).
E l’enciclica si conclude con una visione escatologica che riprende il suo sottotitolo. “sulla cura della casa comune”, e ci ricorda che attualmente dobbiamo farci carico di questa casa comune (n. 244), ma che “stiamo viaggiando verso il sabato dell’eternità, verso la nuova Gerusalemme, verso la casa comune del cielo” (n. 243).
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Articolo di Pavesi subito dopo l´enciclica: