6 dicembre 2017
Le persone affette da una malattia psichiatrica rappresentano ormai il 19 per cento dei pazienti che sono deceduti per eutanasia in Belgio. Questo non è però l’unico dato allarmante per lo stesso paese: dal 2014 è possibile far morire per eutanasia i minori anche se non sono in grado di fornire il loro consenso, sempre più malati depressi chiedono di essere aiutati a morire e da diverse settimane si discute di una nuova evoluzione della legge in vigore per permettere «alle persone anziane che sentono di aver compiuto la loro vita» e sono «stanche di vivere» di chiedere l’eutanasia anche in assenza di malattia.
«La Croix» del 5 dicembre in un articolo dal titolo In quindici anni l’eutanasia in Belgio si è banalizzata evidenzia come una legge concepita nel 2002 per offrire una «possibilità» alle «persone sofferenti in modo insopportabile e costante per una malattia grave e inguaribile» si sia trasformata inesorabilmente in qualcosa di ancora più audace e moralmente inaccettabile. Lo afferma padre Marc Desmet, un gesuita che dirige ad Hasselt il servizio di cure palliative di uno dei più grandi ospedali del paese: sono ormai 15.000 le persone eutanasizzate dal 2003 a oggi e, anno dopo anno, il numero è in costante aumento. Un «piano inclinato», una «plasticità» legislativa inattesa che vede da un lato l’opinione pubblica per la maggior parte favorevole e dall’altro un numero crescente di medici scettici. Questi ultimi, si legge, si sono riuniti circa un mese fa ad Anversa per fare il punto sulla situazione e per riflettere alla ricerca di soluzioni concrete. Il dato più interessante emerso è sintetizzato nella fotografia che accompagna l’articolo: davanti a una folla di operatori sanitari che sfilano in corteo campeggia uno striscione sul quale si legge Euthanasia: we want a real debate. Carine Brochier, direttrice dell’Istituto europeo di bioetica, lo dice chiaramente: «La pressione sociale è enorme» e «non c’è dibattito nella società belga».
Due affermazioni che fanno riflettere, soprattutto di fronte alle derive di una legge «concepita come un’eccezione» e scivolata nella banalizzazione della morte procurata. In primo luogo la pressione sociale non è sinonimo di dibattito, di confronto aperto e onesto. La spinta che porta in Belgio gli anziani a farsi da parte suggerendo loro che una vita compiuta è ormai inutile si giova della paura figlia del silenzio e della disinformazione, di quell’oscurantismo tante volte paventato dai paladini della “buona morte” e che finisce invece di essere, nei fatti, il loro miglior alleato. Argomenti come l’eutanasia e il suicidio assistito, nel pensiero di pochi alla guida di molti, dovrebbero diventare blindati, indiscutibili, acquisiti in via definitiva esattamente come il diritto all’aborto. E il rischio è che anche gli altri finiscano di pensare che così deve essere.
Però le cose non stanno così. Al termine di alcune lezioni di bioetica durante le quali di questi argomenti abbiamo realmente e onestamente discusso ho visto tanti giovani venire a dirmi che non avevano mai pensato di poter vedere le cose da un’altra angolazione: il dare la morte non fa parte degli obiettivi di cura, il darsi la morte non è un estremo atto di libertà, la persona è tale dal concepimento alla morte naturale. «Molti — scriveva Platone nell’Apologia di Socrate — saranno a domandarvi conto della vostra vita: tutti quelli che io finora trattenevo, e voi non ve ne accorgevate: e saranno tanto più molesti quanto più sono giovani».