A pochi giorni dalla sua pubblicazione la Lettera Apostolica Misericordia et Misera, scritta dal Papa a chiusura del Giubileo, continua a suscitare riflessioni. Papa Francesco invita la comunità ecclesiale a vivere una vera e propria ‘conversione spirituale’. Ma in quale direzione? Fabio Colagrande l’ha chiesto a padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica.
R. Direi che la conversione sostanziale, il significato di questa Lettera, è che non c’è peccato che la misericordia non possa raggiungere. Questo messaggio deve stare al cuore e al centro della Chiesa perché il messaggio della Chiesa è quello della misericordia: il Vangelo è il messaggio della misericordia. il Papa è consapevole che ciascuno porta con sé la ricchezza e il peso della propria storia. In fondo qui c’è una grande lezione di incarnazione: la Chiesa si confronta, non con il peccato, il giudizio in astratto, ma con persone concrete. Proprio all’inizio della Lettera il Papa fa riferimento al capitolo 8 del Vangelo secondo Giovanni, dove ci sono una peccatrice e un salvatore, cioè fa riferimento a persone concrete. Allora, questo è il grande messaggio: non c’è barriera che tenga di fronte alla misericordia di Dio, nessun peccato può rimanere non assolto.
D. Il Papa dà indicazioni concrete per celebrare e vivere la misericordia. Quali sono le indicazioni più importanti di questa Lettera secondo lei?
R. La cosa che mi ha colpito di più è il tema della dimensione ‘artigianale’ della misericordia, aggettivo che Francesco ama molto. E’ questo, se vogliamo, anche un appello a far ricorso a una certa creatività. Il pastore deve mettersi di fronte ai suoi fedeli cercando in ogni modo di mostrare questo amore, questa bontà di Dio. In fondo, è proprio ciò che il Papa fa, non solo con le sue parole, ma anche con i suoi gesti. Ci sono poi immagini molto belle nella lettera, come quella delle pietre che cadono dalle mani di chi voleva lapidare l’adultera. C’è un’indicazione molto precisa per i sacerdoti, insieme a tante altre, che il Papa ripete spesso in questi mesi: la necessità della lungimiranza, cioè, di discernere il singolo caso. Quindi, non avere norme generali da applicare sempre e comunque in tutti i casi, ma discernere le situazioni concrete, questa è la lungimiranza.
D. Le decisioni concrete prese nella Lettera apostolica che riguardano la conferma dei missionari della misericordia, la possibilità per tutti i sacerdoti di assolvere dal peccato di aborto procurato o quella che riguarda quanti frequentano le chiese guidate dai lefebvriani … Che senso hanno queste scelte del Papa?
R. Il senso è lavorare sui terreni nei quali è possibile esercitare la misericordia. Quindi, nel caso dei lefebvriani, questo concedere che la loro assoluzione dei peccati sia valida e lecita, significa aprire uno spazio dove abbia la priorità assoluta la misericordia e non la divisione. L’assoluzione del peccato di aborto significa che non c’è un peccato che può bloccare la misericordia di Dio. Quando una persona è sinceramente pentita, può presentarsi da un sacerdote e ricevere l’assoluzione. Non c’è da seguire percorsi difficili o ardui. Consideriamo anche che, recentemente, i vescovi hanno sempre affidato ad alcuni sacerdoti la facoltà di assolvere questo peccato. In realtà il Papa sta solo normalizzando una situazione che era già di fatto in atto. Ma, all’interno di questa Lettera, questo gesto ha un significato particolare: farsi carico della sofferenza e della problematicità che una donna può vivere, prendendo questa decisione terribile – visto che il peccato è un male che il Papa ha definito gravissimo – e dare a questa persona la possibilità di un’assoluzione di fronte a qualunque sacerdote.
D. Cosa rispondere a chi teme che questa decisione in particolare svilisca o banalizzi il peccato di aborto procurato? R. Non ha alcun senso affermare che questa scelta svilisca o banalizzi il peccato di aborto procurato. Il Papa, come ha detto più volte, e lo leggiamo anche nella Lettera, lo considera un peccato molto grave, un omicidio. E su questo non c’è alcun dubbio, anzi il concetto viene ribadito. Francesco ha solo voluto riaffermare, con questo gesto, che non c’è un ostacolo, non c’è una porta chiusa. Le porte che simbolicamente sono state chiuse alla fine dell’Anno Santo in realtà rimangono aperte nelle loro sorgenti. Quindi lo scopo è ribadire che la misericordia di Dio è a portata di mano. Il messaggio non è l’assoluzione facile di un peccato, per niente: servono il pentimento e la consapevolezza della gravità, ma allo stesso tempo il Papa vuole farci capire che il Signore è vicino ai peccatori. Come ha detto nell’omelia Lui non si ricorda dei nostri peccati, ma si ricorda di noi, dei suoi figli. Sulla decisione del Papa di concedere a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto contenuta nella ‘Misericordia et Misera’ sentiamo ora il prof. Filippo Boscia, presidente nazionale dell’Associazione medici cattolici italiani, sempre al microfono di Fabio Colagrande:
R. Questa scelta del Papa viene veramente come una grazia incredibile, perché quello che era stato concesso limitatamente al periodo giubilare, esteso nel tempo, ribadisce non soltanto che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine ad una vita innocente, ma impegna tutti quanti al sostegno delle gravidanze inattese. Come medico cattolico – come presidente dell’Amci – ho conosciuto i volti delle centinaia di bambini che sono nati grazie all’attenzione e agli interventi dei medici cattolici, e quindi sento che è giunto il tempo di una riflessione seria: non sarebbe possibile un ulteriore sviluppo e diffusione di civiltà senza dare una dimostrazione tratta dall’esperienza di chi ha favorito l’aborto. La prevenzione dell’aborto è soprattutto questo: far sì che questo individuo vivente, appartenente alla specie umana, sia riconosciuto nel suo valore. Ogni nuova parola del Papa si leva alta e chiara, ed è indispensabile a rompere ogni censura sociale per proclamare il valore della vita incipiente. La parola del Papa ridona speranza: il trauma delle donne, le conseguenze psichiche nelle donne che affrontano questa indelebile e dolorosa esperienza, che lascia cicatrici nella loro psiche ci mostrano che è un trauma che non può essere tenuto nascosto, soprattutto se la donna si è trovata sola, abbandonata nel suo percorso, a fare una scelta e a prendere una dolorosa decisione, dopo aver compiuto poco e male i percorsi di prevenzione. Avere eliminato l’embrione non toglie lo scrupolo. Questo viene vissuto come una colpa da condividere ed eventualmente da proiettare anche verso gli altri.
D. Lei parlava prima dei percorsi di prevenzione che non vengono rispettati. C’è, in questo senso, un peccato di omissione che riguarda anche le istituzioni, la società?
R. Certo, questo è forse il peccato più grave, perché omettere è anche un commettere. Perché significa che non sono stati messi in conto tutti i provvedimenti per salvare una vita; non aver preso questi provvedimenti significa aver compiuto e provocato la morte. E molti aborti si verificano proprio perché è stato omesso o trascurato di curare misure atte a conservare la vita. Penso ai consultori familiari, ma anche alla politica e alla facilitazione dell’aborto: l’aborto è facilitato da legislazioni permissive; è anche finanziato. Ormai è diventato un fenomeno assai diffuso, e questo, in sostanza, porta fatalmente molti a non avvertire più alcuna responsabilità verso la vita nascente, e a banalizzare queste colpe gravi. È un inquietante panorama, quello dell’omissione, che significa non fare un’azione tra tutte quelle che rientrano nell’ambito di ciò che si può fare e si potrebbe tranquillamente fare. Io credo che il Papa ci richiami oggi a questo delicato compito: capire che esistono dei doveri nei confronti delle pazienti, nei confronti dei medici, nei confronti della prevenzione dell’aborto; e che oggi, anche uno Stato democratico deve essere in grado di fornire al massimo possibile il sostegno alla vita, che deve andare ben oltre quello che le famiglie si aspettano di ricevere.