Report su costi aborto. Boscia (AMCI): «Ecco quali sono i costi, economici e umani»

L’aborto è un “inquinante” conclamato per la famiglia e per la società. Nella sua intervista, rilasciata a Pro Vita & Famiglia a margine della presentazione del rapporto su costi d’applicazione della Legge 194, Filippo Boscia, presidente dell’Associazione Medici Cattolici Italiani, ha riflettuto in modo particolare sul dramma del post-aborto. La diffusione, in questo biennio pandemico, dell’aborto chimico e “domiciliare” non fa che incentivare ulteriormente questa pratica, impedendone una reale rilevazione statistica. Ciò che però non potrà essere mai cancellato sono le devastanti conseguenze fisiche e psicologiche sulle mancate madri, con l’eterno rimorso che si porteranno dietro.

Professor Boscia, quali sono, a suo avviso gli aspetti più rilevanti del rapporto presentato oggi alla LUMSA?

«In primo luogo, non posso che confermare quello che ho già detto tantissime volte. Ne sono assolutamente convinto: la Legge 194, che esordisce con norme sulla tutela sociale della maternità – ma che è più comunemente nota come legge sull’aborto – è da considerarsi iniqua oltre che viziata da alcuni inganni. Pur richiamando il valore sociale della maternità nella sua reale applicazione, la 194 ha prodotto un effetto contrario. Oltre, ovviamente, alla depenalizzazione, la Legge 194 ha determinato soprattutto una banalizzazione dell’aborto volontario, portando all’accettazione generalizzata di una pratica oggi considerata del tutto ordinaria. Dovremmo allora iniziare a difendere con orgoglio tutte le vite, a partire da quelle più deboli. Dovrebbe passare il messaggio che coloro che eliminano la vita dal mondo, eliminano anche il sole dal mondo. Allora, se vogliamo essere ecologici fino in fondo, non dobbiamo spiantare la vita, dobbiamo imparare a coltivarla. In quarant’anni sono stati eliminati sei milioni di vite nascenti e con molta facilità rispetto al passato, specie in questo periodo, in cui, approfittando della pandemia, si è progressivamente sostituita la procedura chirurgica con quella farmacologica. A mio avviso siamo davanti non ad una ulteriore liberalizzazione dell’aborto ma ad una sua totale e definitiva liberalizzazione. L’aborto domiciliare, che trae origine dall’emergenza pandemica, fa perdere definitivamente il controllo anche su quei dati statistici che potevano aiutare a prevenire il fenomeno. Quando, nelle varie consultazioni parlamentari, nei vari rapporti al Parlamento e al popolo, andiamo a dire che gli aborti sono diminuiti, non diciamo la verità. Il loro numero è molto più alto da quando sono in commercio le varie pillole del giorno dopo, responsabili di quello che io definisco l’“aborto nascosto”».

Il rapporto parla di “costi” dell’aborto: quali sono i costi medici e psicologici cui vanno incontro le donne che abortiscono?

«Come medico interessato di fisiopatologia della riproduzione, di fertilità e di fecondità, mi interessano soprattutto i costi fisici e psicologici per le stesse donne, che implicano tutta quell’ampia gamma di complicanze che la letteratura medica codifica come “sindrome post-abortiva”. Quest’ultima rientra nel grande capitolo delle sindromi post-traumatiche da stress, così diffuse in questo periodo di Covid. L’aborto spesso conduce la donna a fenomeni di depressione, ad un lutto inconsolabile che la accompagna tutta la vita. È il frutto amaro di una scelta non facile, agevolata dal consenso della società ma spesso tragica e sempre comunque traumatica. Il declino demografico, che tutti oggi piangiamo, è l’effetto di una maternità negata alla donna che lavora, negata a chi è forse inconsapevole della preziosità della gravidanza. Una maternità troppo spesso banalizzata e oscurata, riposta interamente a carico della donna, come effetto estremo dell’autodeterminazione femminile. Certamente nessuno di noi vuole incrinare il diritto all’autodeterminazione. Ma in questa fase, stiamo destinando le donne alla perdita garantita di una funzione, anche se poi concediamo tutte le protesi possibili e immaginabili, compresi gli ovociti messi sotto ghiaccio, da tornare a utilizzare appena sarà opportuno. Con il denaro sprecato per le interruzioni di gravidanza e per il rinvio della “maternità socialmente negata”, si potrebbe, piuttosto, incentivare l’aspetto preventivo e dare un valore sociale alla maternità un inderogabile valore, così come previsto dalla stessa legge 194, ormai diventata contraddittoria in se stessa. Basterebbe ridurre la completa gratuità della pratica abortiva e cominciare a responsabilizzare le persone. Quando qualcosa è totalmente a disposizione, l’istinto di chiunque è ad abusarne…».

Qui veniamo, dunque, alla sindrome post-abortiva…

«Nel mio intervento alla LUMSA, ho parlato delle conseguenze dell’aborto. Ciò che più mi fa piangere il cuore è vedere donne quarantenni, che hanno abortito uno, due, anche tre bambini e che ora desiderano ardentemente un figlio che non arriva. Ovviamente non possiamo colpevolizzare queste donne, piuttosto sarebbero da colpevolizzare la società e la politica che hanno voluto concedere tutto a tutti, politiche di morte comprese. Una donna è consapevole del fatto che, con l’aborto non le viene asportato un tumore ma le viene ucciso un figlio. È inevitabile che ne scaturiscano ferite a livello psicologico: ansia, depressione, disturbo post-traumatico da stress, autolesionismo. Uno studio recente ha dimostrato che le donne che hanno abortito da uno a tre bambini hanno un rischio del 30% in più di depressione nel momento in cui comincia la menopausa».

Prima lei accennava all’ecologia. Perché l’aborto “inquina” così tanto l’equilibrio della vita umana?

«A volte colpevolizziamo i bambini, dicendo loro di non calpestare le aiuole. L’aiuola della vita non è solo quella di un prato fiorito. Gli esseri umani stessi sono un prato in cui cade un seme che, in primavera, darà frutti meravigliosi. Credo che dovremmo parlare anche di un inquinamento dell’informazione. Nei giorni scorsi, nella mia città sono circolati i camion dell’UAAR, che promuovevano l’aborto, dicendo in sostanza: “non preoccupatevi, è semplice, è facile, vi riprenderete presto la vostra gioia e la vostra felicità”. Ne trattano come fosse un invito a nozze, invece qui stiamo regalando il male non solo alle giovani donne ma anche alla famiglia e alla società intera. Questa “emorragia di bambini” è qualcosa che graverà sul futuro di molte donne e, soprattutto, le pervaderà della paura di non essere più capaci di procreare. No, non si può parlarne, come se fosse stato un semplice “risciacquo” del proprio utero. Invece, per molte giovanissime, l’utero è diventato quasi una stoviglia: lo abbiamo sporcato, ma non c’è problema: lo mettiamo in lavatrice e chiudiamo qui il discorso…».

Quali sono le conseguenze dell’aborto sulla famiglia?

«Ovviamente vanno anche coinvolti gli uomini, perché molti problemi nascono anche dal fatto che sta venendo meno quell’aspetto di generatività che per secoli abbiamo vissuto e che in quest’epoca abbiamo rimosso. Credo ci sia dietro anche un profilo di tipo economico. Il sostegno delle famiglie è qualcosa di importante, invece lo Stato dà sostegno quasi esclusivamente ai singoli cittadini, al punto che qualcuno sta addirittura sostenendo l’incentivo ai divorziati e ai separati. Sono risvolti primari che determinano l’effetto di un vuoto di natalità e questo è l’aspetto più preoccupante».

L’aborto è un “inquinante” conclamato per la famiglia e per la società. Nella sua intervista, rilasciata a Pro Vita & Famiglia a margine della presentazione del rapporto su costi d’applicazione della Legge 194, Filippo Boscia, presidente dell’Associazione Medici Cattolici Italiani, ha riflettuto in modo particolare sul dramma del post-aborto. La diffusione, in questo biennio pandemico, dell’aborto chimico e “domiciliare” non fa che incentivare ulteriormente questa pratica, impedendone una reale rilevazione statistica. Ciò che però non potrà essere mai cancellato sono le devastanti conseguenze fisiche e psicologiche sulle mancate madri, con l’eterno rimorso che si porteranno dietro.

Professor Boscia, quali sono, a suo avviso gli aspetti più rilevanti del rapporto presentato oggi alla LUMSA?

«In primo luogo, non posso che confermare quello che ho già detto tantissime volte. Ne sono assolutamente convinto: la Legge 194, che esordisce con norme sulla tutela sociale della maternità – ma che è più comunemente nota come legge sull’aborto – è da considerarsi iniqua oltre che viziata da alcuni inganni. Pur richiamando il valore sociale della maternità nella sua reale applicazione, la 194 ha prodotto un effetto contrario. Oltre, ovviamente, alla depenalizzazione, la Legge 194 ha determinato soprattutto una banalizzazione dell’aborto volontario, portando all’accettazione generalizzata di una pratica oggi considerata del tutto ordinaria. Dovremmo allora iniziare a difendere con orgoglio tutte le vite, a partire da quelle più deboli. Dovrebbe passare il messaggio che coloro che eliminano la vita dal mondo, eliminano anche il sole dal mondo. Allora, se vogliamo essere ecologici fino in fondo, non dobbiamo spiantare la vita, dobbiamo imparare a coltivarla. In quarant’anni sono stati eliminati sei milioni di vite nascenti e con molta facilità rispetto al passato, specie in questo periodo, in cui, approfittando della pandemia, si è progressivamente sostituita la procedura chirurgica con quella farmacologica. A mio avviso siamo davanti non ad una ulteriore liberalizzazione dell’aborto ma ad una sua totale e definitiva liberalizzazione. L’aborto domiciliare, che trae origine dall’emergenza pandemica, fa perdere definitivamente il controllo anche su quei dati statistici che potevano aiutare a prevenire il fenomeno. Quando, nelle varie consultazioni parlamentari, nei vari rapporti al Parlamento e al popolo, andiamo a dire che gli aborti sono diminuiti, non diciamo la verità. Il loro numero è molto più alto da quando sono in commercio le varie pillole del giorno dopo, responsabili di quello che io definisco l’“aborto nascosto”».

Il rapporto parla di “costi” dell’aborto: quali sono i costi medici e psicologici cui vanno incontro le donne che abortiscono?

«Come medico interessato di fisiopatologia della riproduzione, di fertilità e di fecondità, mi interessano soprattutto i costi fisici e psicologici per le stesse donne, che implicano tutta quell’ampia gamma di complicanze che la letteratura medica codifica come “sindrome post-abortiva”. Quest’ultima rientra nel grande capitolo delle sindromi post-traumatiche da stress, così diffuse in questo periodo di Covid. L’aborto spesso conduce la donna a fenomeni di depressione, ad un lutto inconsolabile che la accompagna tutta la vita. È il frutto amaro di una scelta non facile, agevolata dal consenso della società ma spesso tragica e sempre comunque traumatica. Il declino demografico, che tutti oggi piangiamo, è l’effetto di una maternità negata alla donna che lavora, negata a chi è forse inconsapevole della preziosità della gravidanza. Una maternità troppo spesso banalizzata e oscurata, riposta interamente a carico della donna, come effetto estremo dell’autodeterminazione femminile. Certamente nessuno di noi vuole incrinare il diritto all’autodeterminazione. Ma in questa fase, stiamo destinando le donne alla perdita garantita di una funzione, anche se poi concediamo tutte le protesi possibili e immaginabili, compresi gli ovociti messi sotto ghiaccio, da tornare a utilizzare appena sarà opportuno. Con il denaro sprecato per le interruzioni di gravidanza e per il rinvio della “maternità socialmente negata”, si potrebbe, piuttosto, incentivare l’aspetto preventivo e dare un valore sociale alla maternità un inderogabile valore, così come previsto dalla stessa legge 194, ormai diventata contraddittoria in se stessa. Basterebbe ridurre la completa gratuità della pratica abortiva e cominciare a responsabilizzare le persone. Quando qualcosa è totalmente a disposizione, l’istinto di chiunque è ad abusarne…».

Qui veniamo, dunque, alla sindrome post-abortiva…

«Nel mio intervento alla LUMSA, ho parlato delle conseguenze dell’aborto. Ciò che più mi fa piangere il cuore è vedere donne quarantenni, che hanno abortito uno, due, anche tre bambini e che ora desiderano ardentemente un figlio che non arriva. Ovviamente non possiamo colpevolizzare queste donne, piuttosto sarebbero da colpevolizzare la società e la politica che hanno voluto concedere tutto a tutti, politiche di morte comprese. Una donna è consapevole del fatto che, con l’aborto non le viene asportato un tumore ma le viene ucciso un figlio. È inevitabile che ne scaturiscano ferite a livello psicologico: ansia, depressione, disturbo post-traumatico da stress, autolesionismo. Uno studio recente ha dimostrato che le donne che hanno abortito da uno a tre bambini hanno un rischio del 30% in più di depressione nel momento in cui comincia la menopausa».

Prima lei accennava all’ecologia. Perché l’aborto “inquina” così tanto l’equilibrio della vita umana?

«A volte colpevolizziamo i bambini, dicendo loro di non calpestare le aiuole. L’aiuola della vita non è solo quella di un prato fiorito. Gli esseri umani stessi sono un prato in cui cade un seme che, in primavera, darà frutti meravigliosi. Credo che dovremmo parlare anche di un inquinamento dell’informazione. Nei giorni scorsi, nella mia città sono circolati i camion dell’UAAR, che promuovevano l’aborto, dicendo in sostanza: “non preoccupatevi, è semplice, è facile, vi riprenderete presto la vostra gioia e la vostra felicità”. Ne trattano come fosse un invito a nozze, invece qui stiamo regalando il male non solo alle giovani donne ma anche alla famiglia e alla società intera. Questa “emorragia di bambini” è qualcosa che graverà sul futuro di molte donne e, soprattutto, le pervaderà della paura di non essere più capaci di procreare. No, non si può parlarne, come se fosse stato un semplice “risciacquo” del proprio utero. Invece, per molte giovanissime, l’utero è diventato quasi una stoviglia: lo abbiamo sporcato, ma non c’è problema: lo mettiamo in lavatrice e chiudiamo qui il discorso…».

Quali sono le conseguenze dell’aborto sulla famiglia?

«Ovviamente vanno anche coinvolti gli uomini, perché molti problemi nascono anche dal fatto che sta venendo meno quell’aspetto di generatività che per secoli abbiamo vissuto e che in quest’epoca abbiamo rimosso. Credo ci sia dietro anche un profilo di tipo economico. Il sostegno delle famiglie è qualcosa di importante, invece lo Stato dà sostegno quasi esclusivamente ai singoli cittadini, al punto che qualcuno sta addirittura sostenendo l’incentivo ai divorziati e ai separati. Sono risvolti primari che determinano l’effetto di un vuoto di natalità e questo è l’aspetto più preoccupante».


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