Rito Ambrosiano
In quel tempo. Quando il Signore Gesù fu entrato in Cafarnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò». Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».
Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori, nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti». E Gesù disse al centurione: «Va’, avvenga per te come hai creduto». In quell’istante il suo servo fu guarito.
Commento
Gesù torna a Cafarnao, città dove si era stabilito (4,13). La scena che segue è in relazione con la precedente, in cui Gesù guarisce un lebbroso; anche il centurione pagano è religiosamente impuro, non appartenendo al popolo di Israele. Coi pagani non si doveva intavolare conversazione; tanto meno si poteva andare a casa loro (cfr. At 10,28).
Il pagano sorprende Gesù per diversi motivi, ma anche Gesù ci sorprende. Vediamo.
1. Il centurione prega Gesù per un servo che ha in casa, paralitico, con gravi dolori. È un uomo sensibile e misericordioso. Anche Gesù sorprende, infatti, dopo l’episodio del lebbroso, che mostra come Gesù non rispetti le proibizioni della Legge riguardanti l’impurità, egli dice che è disposto ad andare a casa del pagano e a guarire l’infermo. La salvezza che Gesù reca è universale e non riconosce frontiere fra uomini o popoli.
2. Con la sua risposta, il centurione si dichiara indegno di ricevere in casa Gesù. È cosciente della propria inferiorità come pagano, ma ciò gli dà occasione di mostrare la qualità della sua fede.
3. Avvezzo ad essere ubbidito, vede in Gesù un’autorità assoluta, capace di sottrarre l’uomo alla paralisi. Gesù sorprende perché non compie nessuna azione nei confronti dell’infermo, infatti il centurione gli chiede soltanto una parola.
In questo episodio l’evangelista Matteo allude alla missione fra i pagani, che senza aver avuto diretto contatto con Gesù sperimentano la salvezza che proviene da lui. Il fatto di non andare in casa acquista allora tutto il suo rilievo. La presenza terrestre di Gesù non è necessaria, la salvezza dei pagani si realizzerà attraverso il messaggio.
La fede del pagano suscita lo stupore di Gesù e fa apparire il contrasto con la poca adesione che egli trova in Israele. Gesù vede che il suo messaggio susciterà miglior risposta fra i non giudei che fra gli israeliti.
Quest’ultima osservazione dovrebbe svegliare in noi il senso di una fede sincera in Gesù, capace di dargli buona testimonianza e di portare frutto. Ma possiamo dire dell’altro.
Il centurione, e ogni persona che compie il vero bene, ci fa da maestro nell’avere cura affettuosa e disinteressata per le persone; nell’essere umili davanti a Gesù e ritenerci arricchiti dalla sua grazia; nel fidarci della sua parola.
Commento di A. Casati
Non so se oso troppo dicendo che il racconto di Matteo è come se avvicinasse due legni, di suggestione rara, Gesù e il centurione pagano. Il testo è di una bellezza che prende il cuore, anche per i sentimenti che pulsano sul fondale e sono come celebrati nelle parole del racconto, persino nel bianco tra parola e parola: i sentimenti, capite! Prima di sfiorare il racconto vorrei indugiare su un passaggio. Se tentassimo di immaginare che cosa si mosse dentro Gesù alle parole del centurione, legno accanto a legno?
E’ scritto: lo prese un sentimento di meraviglia, di stupore quasi gli si stesse svelando più limpidamente qualcosa. Matteo lo lascia intendere da una fessura, scrivendo: “Ascoltandolo, Gesù si meravigliò”. Si meravigliò, come sgranasse gli occhi. Il centurione allontanava d’un colpo lo stereotipo dello straniero che ancora era nell’aria. Si meravigliò, era una meraviglia, le sue parole una meraviglia. Dal paese dei non circoncisi. E noi siamo capaci di meraviglia per gesti e parole da altri paesi? Matteo ha sposato due verbi, che lasciano una traccia troppo importante, ineludibile, per noi lettori del vangelo, scrive: “Ascoltandolo si meravigliò”.
“Ascoltandolo”: se non ascolti, se non stai a millimetri di occhi, se giudichi da lontano, se uno per te è un nome e non una persona in carne ed ossa, passerai la vita barricato in quello che hai sempre pensato o ti hanno fatto pensare, e non ci sarà meraviglia, ma solo pregiudizio. “Ascoltandolo”: la meraviglia viene dopo. Se non c’è la premessa non accade. Ascoltandolo. Ma che cosa aveva mai detto il centurione, per far dire a Gesù: “In Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande!”?. Sono andato a rileggere. Due fessure. Certo, un’altra idea di fede. Sono due le espressioni del centurione. Le estraggo.
La prima: “Lo scongiurava e diceva: ‘Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente'”. La seconda: “Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito”. “Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente”. E lo scongiurava. Immagino che l’abbiate notato: di solito sono i servi che si muovono per il loro padrone. Qui è semplicemente il contrario. E il centurione ha parole accorate, pulsa il cuore, dice: “Soffre terribilmente”. Legno accanto a legno, come evaporassero i ruoli. Accade la fede, quando scompaiono le distinzioni e rimane l’umano. E splende la fiducia. Fede è sporgersi. Con fiducia.
La seconda espressione: “Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto”. Un umile sentire. E’ in un umile sentire che intravvedi la fede, ti sporgi, ti abbandoni. Nell’arroganza non ti sporgi, hai fede solo in te stesso. Un legno presuntuosamente solo. Le due strade della fede andrebbero ripercorse, lascio a voi. Per un accenno – solo un accenno a un particolare, che poi un particolare non è – che mi sembra bellissimo: Gesù opera a distanza, e arriva, non visto, a un servo, e legno da lontano abbraccia un altro legno, un legno diverso, nel segreto dell’invisibilità, e senza chiedere nulla. Quasi a dirci che l’amore opera anche a distanza.
E che non è vero, non è proprio vero, che “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”. A clamorosa smentita.
Rito Romano
V domenica del TO
Luca 5,1-11
In quel tempo, 1mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, 2vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. 3Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
4Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». 5Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». 6Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. 7Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. 8Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». 9Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; 10così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». 11E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.
Commento
La pesca miracolosa è il lavoro che tutti i giorni la Chiesa deve compiere nel mondo: pescare ovvero portare gli uomini a Cristo.
Il racconto richiama una forma di organizzazione della Chiesa. Gesù stesso sceglie una barca, dà indicazioni a Pietro, il quale deve esprimere la sua fede. I compagni poi vengono ad aiutare per raccogliere i pesci.
Pietro riconosce la santità di Gesù e ne resta intimorito. Ma Gesù non vuole intimorire nessuno, perché il suo progetto non è quello di condannare, ma quello di farci somiglianti a lui. Siamo chiamati a diventare santi come è santo Gesù.
Che dire oggi di questo miracolo, quando in Occidente sembra che la Chiesa non riesca a pescare? Gli uomini d’oggi sembrano essere occupati in altre faccende che non quella del significato della vita, e in quella della qualità del proprio amore. Ma la Chiesa stessa sembra quasi disinteressata all’annuncio e si amministra solo l’esistente con pochi slanci missionari.
La risposta è nelle parole di Pietro: abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti. Gettare sempre le reti, con la convinzione che Cristo è il vero tesoro di ogni uomo e conoscerlo significa entrare nella vita vera. Rispettare la libertà e la coscienza delle persone non significa smettere di testimoniare e di invitare al cammino della fede cristiana. Ovviamente tutto deve avvenire nella libertà. Ma la libertà stessa è valorizzata, quando si fa la proposta della buona notizia di Gesù.
Perciò anche oggi il credente deve rinnovare la fiducia nelle parole del Maestro e non cessare di esser apostolo della fede. I frutti verranno quando sembrerà giusto a Dio. A noi tocca lavorare per il suo Regno.
Commento di E. Ronchi
LUI SULLA MIA BARCA
A lui non interessa giudicare neppure in vista di una assoluzione, a lui interessa il frutto, la pesca abbondante, la fecondità della vita e non la purezza fondamentalista.
Tirate le barche a terra lasciarono tutto e lo seguirono. Senza neppure chiedersi dove Gesù li avrebbe condotti. Lo seguono in piena incoscienza.
Perché il motivo di tutto è solo lui, quel Rabbi dalle parole folgoranti. Allontanati da me, aveva detto Pietro; e alla fine si allontanano ma insieme, verso un altro mare, lasciando sulla riva le barche riempite fino all’orlo dal miracolo. Sono i ‘futuri di cuore’.
Tutto è cominciato con una notte buttata, le reti vuote, la fatica inutile. E Gesù in piedi vede. Vede ‘due barche’, dice il vangelo, ma io credo che veda tutta la delusione e la tristezza del mondo sui volti dei pescatori, che in disparte lavano le reti vuote.
Il maestro parla con linguaggio universale e immagini semplicissime, non dal pinnacolo del tempio ma dalla barca di un pescatore di Cafarnao. Non da luoghi sacri, ma da un angolo umanissimo e laico, in mezzo alle attività umane, non padrone, ma ospite dello spazio umano, delle periferie, delle attese, delle delusioni.
Gesù di fronte a uomini in crisi, per un pescatore non pescare è la crisi d’identità, usa tutta la sua sapienza e delicatezza: prega Simone di staccarsi un po’ dalla riva.
Sale sulla barca di Simone e lo prega: notiamo la finezza del verbo scelto da Luca. Così il maestro sale sulla barca della mia vita e mi prega di ripartire con quel poco che ho, con quel poco che so fare, per affidarmi un nuovo mare.
Prendi il largo e getta le tue reti. Sulla tua parola le getterò. Simone si fida e si avvia il miracolo. Una quantità enorme di pesci, una quantità di giorni pieni di pane e di luce per lui e per tutti coloro che sulla sua parola getteranno le reti.
Un prodigio. Un segno. Simone ha paura: Allontanati da me, perché sono un peccatore. Gesù sull’acqua del lago ha una reazione bellissima. Lui, il grande pescatore di uomini, alle parole di Simone non risponde “non sei peggio degli altri”, non giudica, non condanna, ma neppure assolve.
A lui non interessa giudicare neppure in vista di una assoluzione, a lui interessa il frutto, la pesca abbondante, la fecondità della vita e non la purezza fondamentalista. Mette oro nelle ferite.
Gesù pronuncia una parola solenne e inattesa: non temere, d’ora in avanti tu sarai… e il futuro conta più del presente, più del passato,
d’ora in avanti cercherai uomini, raccoglierai vite per la vita.
E il bene possibile domani vale più del male di ieri e di oggi.
Io non sono che un perdonato, uno che non ha preso niente, ma che ora sulla tua parola getterà le reti ancora. Sono il primo dei paurosi, l’ultimo dei coraggiosi, ma d’ora in avanti qualcosa sarò, Signore, se la tua grazia farà del mio nulla qualcosa che serva a qualcuno.
Buona domenica a tutti
Don Michele Aramini
- Veronese. Cristo e il centurione.