Domenica 29 dicembre 2024

Rito ambrosiano

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non la ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.

Commento di A. Casati

Non so se ci affatica o se ci incanta questo puntare oggi degli occhi al più lontano che si può, per fare poi ritorno al più vicino che si può. Puntare gli occhi al più lontano nel tempo. E che cosa sta all’origine? E non è la domanda degli scienziati, che pure è legittima e degna di stima. Ma la domanda di coloro che cercano un senso o si chiedono se ci sia un senso. Un senso o una insensatezza? A volte ci sembra di essere osservatori, fermi al retro di un arazzo, un groviglio di fili: ognuno un filo con la sua vita, con la sensazione – capita – di essere fuori posto, ma con il brivido di essere abbracciato a un altro filo. A chiederci se c’è un disegno. Ecco perché i pensieri corrono all’origine, all’in principio.

E il cuore è come se riprendesse a pulsare quando legge di una Sapienza che sta dall’in principio, prima dello snodarsi delle cose; non l’insensatezza, ma la Sapienza. Così raccontava oggi il brano del libro dei Proverbi: “La Sapienza grida: “Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, all’origine. Dall’eternità sono stata formata, fin dal principio, dagli inizi della terra”. E’- voi mi capite – la condizione perché anch’io metta il mio piccolo filo. Ma ancora ho trovato scritto che la Sapienza non solo faceva tutt’uno con Dio, ma racconta “Ed ero la sua delizia ogni giorno: giocavo davanti a lui in ogni istante, giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo”.

Qualcuno ha scritto: “In principio era la gioia”. Dio per noi ha in mente la gioia, l’armonia, la felicità. Peccato che a volte sia passata l’idea di una religione che mortifica e mette pesi, e non di una fede che si premura, come il suo Dio, di far sorridere tutti, tutto: ti voglio bene, voglio che i tuoi occhi sorridano, portare il sorriso. Anche il prologo del vangelo di Giovanni oggi ci riconduceva all’in principio e raccontava: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste”. Bellissimo che si inizi dal Verbo, dalla Parola, e non da un silenzio muto che ti raggela: sei salvo se sguscia una paola che già in sé porta segno di voglia di comunicare. All’inizio di tutto sta la voglia di comunicare di Dio, come una grande luce, una immensa luce, all’inizio un mare di luce.

E poi è detto – e qui purtroppo non abbiamo sostato nei secoli e non avremo mai finito di sostare – è detto del Verbo di Dio, della Parola che è luce -: “Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste”. Pensate, nulla che non porti in sé una traccia del divino – ma ci pensate? – nulla di quanto c’è oggi, nulla di quanto ci fu dal primo battere del mondo ad oggi, nessuna donna, e nessun uomo, e – che so io? – nessuna formica, nessuna goccia d’acqua, nessun filo d’erba, nessuna polvere di stelle, nessun popolo del mondo, nessuna religione, nessuna cultura, nulla di quanto oggi vedrai uscendo da questa chiesa. Vedrai l’anima del mondo. Pensate, se le scrivessimo sulle pareti di casa queste parole, se le incidessimo sulle pareti dell’anima? “Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste”.

Dal più lontano al più vicino, perché ora mi si accende l’altra parola del prologo di Giovanni: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. O – se volete, nella versione più letterale – “e mise la sua tenda in mezzo a noi”. Si fece carne, quasi la carne fosse il punto estremo del suo desiderio di comunicare con noi. Che siamo carne, siamo storia, siamo volto, parliamo con parole e con il volto, ci esprimiamo con scoppi di riso e con il silenzio del pianto, siamo mani che lavorano e mani che si fanno dono per una carezza, occhi che scrutano o anche occhi che sono semplicemente fessure di bellezza, siamo corpo e attesa di profumo, di vino e di abbracci. E Gesù – perdonate una espressione forse in eccesso – ci ha amato molto anche perché non ha preso distanza dalla nostra carne. Ha toccato, si è lasciato toccare. Il vangelo è la Parola in un corpo. Togliete i corpi, che cosa rimane del vangelo?

Anche in questo orizzonte Gesù apriva, osando, un’altra via. Leggete i primi capitoli del vangelo di Marco: storia di corpi. Ed ecco la perplessità dei discepoli di Giovanni e dei farisei, che si interrogano sul fatto che il Rabbi di Nazaret non insegna ai suoi discepoli a digiunare, a mortificare il corpo; ancora non avevano capito che stava accadendo qualcosa di nuovo. E Gesù rispondendo fa cenno al nuovo: “Nessuno cuce un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo porta via qualcosa alla stoffa vecchia e lo strappo diventa peggiore. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri, e si perdono vino e otri. Ma vino nuovo in otri nuovi!”.

Vino nuovo, il Verbo fatto carne. Otri vecchi, le tradizioni che negano bellezza al corpo l’assuefazione ai corpi violati. Al sangue versato. Forse dovremmo chiederci perché sono accaduti nella nostra storia cristiana – e ancora non sono del tutto tramontati – i giorni del sospetto sul corpo, il distanziamento dal corpo. Siamo nei giorni del Natale e il pensiero mi corre – piccolo segno – a quanto è accaduto nell’arte pittorica a molte Madonne del latte: “ritoccate” – scrive un critico d’arte, amico, Luca Frigerio – dall’epoca della Controriforma in poi, quando cioè non parve più conveniente che Maria mostrasse il seno, fosse anche per allattare il piccolo Gesù. Quelle antiche Madonne furono intese spesso come inopportune e imbarazzanti. Da incoronare, magari, con nuovi diademi preziosi, ma anche da “nascondere” sotto prudenti strati di colore… “.

Ebbene dire “il Verbo si è fatto carne” è come cantare al vino nuovo.

Rito romano

Dal Vangelo secondo Luca

41I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. 42Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. 43Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. 44Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; 45non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. 46Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. 47E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. 48Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». 49Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». 50Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.

51Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. 52E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

Commento di E.Ronchi

La Bibbia è popolata da famiglie, da generazioni, da storie di amore e di crisi familiari, fin dalla prima pagina, dove entra in scena la famiglia di Adamo ed Eva, con il suo carico di violenza, ma anche con la forza della vita che continua (Amoris laetitia,1). La Bibbia è una biblioteca sull’arte e sulla fatica di amare, è il racconto dell’amore, vivo e potente, incarnato e quotidiano, visibile o segreto. Lo è anche nel Vangelo di oggi: storia di una crisi familiare, di un adolescente difficile, di due genitori che non riescono a capire che cosa ha in testa.

Figlio, perché ci hai fatto stare in angoscia? È il racconto di una famiglia che alterna giorni sereni tranquilli e altri drammatici, come accade in tutte le famiglie, specie con i figli adolescenti. Ma che sa fare buon uso delle crisi, attraverso un dialogo senza risentimenti e senza accuse. Figlio perché? L’interesse di Maria non è rivolto al rimprovero, non accusa, non giudica, non si deprime perché il figlio l’ha fatta soffrire, ma cerca di capire, di comprendere, di accogliere una diversità difficile.

Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio? I nostri figli non sono nostri, appartengono al Signore, al mondo, alla loro vocazione, ai loro sogni. Un figlio non può, non deve strutturare la sua vita in funzione dei genitori. È come fermare la ruota della creazione.

Ma essi non compresero… e tuttavia nessun dramma o ricatto emotivo, nessuna chiusura del dialogo. Un figlio non è sempre comprensibile, ma è sempre abbracciabile.

Scesero insieme a Nazaret. Si riparte, anche se non tutto è chiaro; si persevera dentro l’eco di una crisi, meditando e custodendo nel cuore gesti, parole e domande finché un giorno non si dipani il filo d’oro che tutto illuminerà e legherà insieme.

Gesù partì con loro, tornò a casa e stava loro sottomesso. C’è incomprensione, c’è un dolore che pesa sul cuore, eppure Gesù torna con chi non lo capisce. E cresce dentro quella famiglia santa ma non perfetta, santa e limitata. Sono santi, sono profeti, eppure non si capiscono tra loro. E noi ci meravigliamo di non capirci, qualche volta, nelle nostre case? Tutte diversamente imperfette, ma tutte capaci di far crescere. Gesù lascia i maestri della Legge, va con Giuseppe e Maria, maestri di vita: al tempio Dio preferisce la casa, luogo del primo e più importante magistero, dove i figli imparano l’arte di essere felici: l’arte di amare. Lì Dio si incarna, mi sfiora, mi tocca; lo fa nel volto, nei gesti, nello sguardo di ognuno che mi vuole bene, e quando so dire loro: non avere paura, io ci sono e mi prenderò cura della tua felicità. È Lui regala gioia a chi produce amore.

BUONA DOMENICA A TUTTI

DON MICHELE ARAMINI