FILIPPO MARIA BOSCIA* – Nei molteplici dibattiti, suscitati dalle gravi conseguenze sanitarie e sociali della pandemia da Covid-19, a me è parso che di fatto fosse stata deliberatamente esclusa la benevolenza, la stima e la speranza della visione cristiana della sofferenza, che è misura e criterio di ogni manifestazione umana.

Ogni processo patologico ferisce la nostra identità, che si presenta complessa perché intreccia differenti biografie, che si condensano nel vissuto personale dell’io: biografia fisica, cognitiva, sociale e non da ultimo biografia spirituale. Quest’ultima  ci introduce ad un livello esistenziale profondo, quello del variegato personale universo dei valori, nel quale si incastona la fede religiosa, sorgente di molte risorse interiori.

La paura di vivere l’esperienza di una malattia contagiosa e sconosciuta ha fatto emergere paure, incertezze, egoismi e ha fatto perdere a molti la responsabilità di poter essere co-autori di un aiuto globale da offrire alla comunità.

Intanto, più passa il tempo e più ci rendiamo conto di avere bisogno di  aiuti materiali e spirituali. Sono in molti a rilevare che ci è mancato l’aiuto per l’anima, così come ci è mancata l’attenzione complessiva e ogni possibile umano sostegno in specifiche dolorose esperienze di perdita di congiunti, che si sono allontanati da noi senza conforto, senza carezze e senza una diretta prece. E’ un dolore sordo, inarrestabile, che purtroppo continuiamo a vivere.

La politica, il Presidente del Consiglio Conte e tutti i consiglieri esperti a lui affiancati,  hanno omesso, forse per mera dimenticanza, di inserire tra i servizi essenziali alla persona quelli spirituali e religiosi, pur indispensabili e fondativi.

Forse è giunto il momento di dire con franchezza, e lo dico a nome dei medici cattolici italiani, che è difficile accettare in questa emergenza comportamenti di fredda impermeabilità spirituale, da molti sottolineati come vera e propria indifferenza, sperabilmente non ideologica.

Responsabilmente, nella piena emergenza e in fase di reale contagio, tutti hanno coerentemente accettato che fossero sospese le attività pubbliche, le riunioni assembleari, includendo fra queste anche la celebrazione dell’eucarestia con la presenza dei fedeli: tutti hanno accettato di vivere messe senza popolo e popolo senza messe, ma tutti hanno percepito la consapevolezza che guardare la messa in televisione non era la stessa cosa che celebrarla.

In piena emergenza  abbiamo  sacrificato per responsabilità, quell’ampio e totale esercizio della libertà di culto che è bene costituzionalmente tutelato. Abbiamo prosciugato le acquasantiere per timore dei contagi… e tanto altro ancora.

La Chiesa e tutti i fedeli hanno accettato con sofferenza e senso di responsabilità le limitazioni governative per far fronte all’emergenza sanitaria, coniugando doveri e responsabilità.

Oggi stiamo passando dall’acuta emergenza alla cosiddetta fase 2, che certamente non può ancora del tutto escludere una ripresa dei contagi. In questo momento desideriamo raccomandare al Presidente del Consiglio Conte di non dimenticare che tra i servizi essenziali alla persona v’è da includere il sostegno spirituale e religioso.

Una larga fetta di popolazione sollecita a gran voce i Pastori, i Vescovi e i Presbiteri a riorganizzare la vita della comunità cristiana.

Si sollecita la chiesa a rivendicare la pienezza della sua autonomia! Nessuno può permettersi di ingessare unilateralmente il popolo di Dio e tutti quei fedeli laici che finora sono stati impediti a partecipare ai riti eucaristici, ma anche a raggiungere la Casa del Signore, per invocarlo con umiltà e speranza, per ricevere conforto ed energie spirituali salutari.

Desidero ricordare a tutti che la Chiesa è spazio di libertà e di speranza, ma è anche luogo di aiuto, di solidarietà, di sussidiarietà,  promotrice di resilienza e, sotto tanti profili, dispensatrice di bene, carità e misericordia: aiuta le persone a superare con la preghiera, le tante fragilità e difficoltà, facendo percepire a tanti, afflitti e sconsolati,  gli aspetti terapeutici della fede.

Chi vuole restringere questi spazi di intervento deve tenere ben presente che il servizio verso le fragilità e le solitudini non è mai venuto meno!

Gli operatori della Caritas, delle associazioni, gruppi e movimenti ecclesiali e dei volontari in esso operanti non hanno mai ceduto alle assillanti limitazioni e sempre nel rispetto di misure di distanziamento hanno portato avanti rischiosi e complessi servizi essenziali, aiutando non solo le povertà materiali, ma anche le povertà spirituali, non essendosi mai spenta in loro quella splendida capacità di carità e di dialogo, importante ed irrinunciabile aiuto alle periferie esistenziali.

Questa sussidiarietà è stata di grande aiuto, soprattutto perché ha  colmato di fatto tante necessità, risolto tanti problemi e rispettato i diritti, purtroppo da altri negati, delle singole persone in difficoltà e delle loro famiglie. In tutti questi casi la Chiesa e le strutture ad essa collegate hanno svolto azione sussidiaria, di sostegno e nutrimento spirituale e materiale.

La Chiesa si è proposta per attivare ogni percorso di tutela della vita nella sua globalità, senza trascurare gli aspetti epidemiologici, anamnestici, diagnostici e psicologici, che direttamente non le competevano, ma che sono stati tenuti presenti nel prestare ogni massima attenzione alle visioni etico-solidaristiche ed etico-morali-religiose,  di fatto di frequente trascurate.

La tutela della vita si fa soprattutto con coerenti interventi e con azioni di fede. Se vogliamo condividere la visione olistica della persona non possiamo fare a meno di parlare degli aspetti spirituali, di quella che io, da medico, definisco “diagnosi e terapia spirituale”, che non riguarda solo gli ammalati, i fragili e le periferie esistenziali, ma anche tutti quei sani, che, in abbandono spirituale, avevano e continuano ad avere bisogno di aiuto.

Il dolore spirituale va compreso con compassione e se opportunamente curato porta grande beneficio a tutti: stimola ogni sensibilità, aiuta la lettura integrale dei bisogni, serve a migliorare qualsiasi azione  politica, sanitaria ed etica e consente di affrontare al meglio qualsivoglia  delicato momento di fragilità. Preme qui sottolineare la pregnanza del “dia-logo”, che è mancato, per mesi, in questa triste vicenda.

Il “dia-logo”, a differenza della chiacchiera o dei soli discorsi pseudo-scientifici, vive del logos, cioè di quelle parole che, se vicendevolmente e delicatamente donate, aiutano a rendere più leggero il bagaglio della sofferenza.

Abbiamo bisogno in questo momento di grandi fragilità, che ci si prenda cura  in modo globale della persona. Per rinascere, nel corpo, nello spirito e nella fede, abbiamo bisogno di compiere percorsi di fede, di comunione e di partecipazione alla Eucarestia, che è nutrimento del corpo e dell’anima e ci fa trovare consolazione, conforto e salvezza.

Abbiamo diritto al culto e alla tutela dell’esercizio delle libertà religiose! I comitati tecnico scientifici, consulenti del governo non omettano di considerare la dimensione spirituale delle persone che è parte integrante della salute globale: non si può spegnere per decreto la vita spirituale.

Stato e Chiesa, ordini indipendenti e sovrani, agiscano in reciproca collaborazione per la salute fisica, ma anche  a salvaguardia di tutti i servizi essenziali che includono quelli spirituali, chiamati alla cura dell’anima, nonchè tutte le missioni pastorali, caritative,  educative di evangelizzazione e di possibile santificazione.

Nella piena osservanza delle norme di prudenza e di distanziamento, cerchiamo di ripristinare la libertà religiosa nella sua più ampia e globale accezione e lavoriamo perché si raggiunga il rispetto dell’unitotalità della persona, fatta di corpo, mente, fede e spiritualità. 


*PRESIDENTE NAZIONALE AMCI (Associazione Medici Cattolici Italiani)

(ALESSANDRO ARGENTINA “La negazione di Pietro”- Olio su tela  70×100)


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