Domenica 6 aprile 2025

Rito Ambrosiano

Domenica Di Lazzaro (V di Quaresima)

Giovanni 11, 1-53

In quel tempo. Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato».

All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui».

Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!». Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».

Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.

Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare».

Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto.

Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.

Commento

Il messaggio primo del testo è quello di presentare Gesù come risurrezione e vita di quelli che credono in lui.

Molti Padri della Chiesa hanno visto in Lazzaro, oltre che una prefigurazione di Gesù morto e risorto e della nostra risurrezione futura, anche un simbolo della vita nuova del battezzato, liberato dal peccato, vera morte dell’uomo. Il testo, altamente simbolico ed evocativo, suggerisce varie interpretazioni. La risurrezione di Lazzaro fu chiamata da Pietro Crisologo «il segno dei segni».

Il superamento della morte è il desiderio più profondo dell’uomo; egli non vuole che il suo essere al mondo abbia come destinazione il nulla. Se ciò che è bello e buono si tramutasse alla fine nella maschera brutta e cattiva della morte, che senso avrebbe vivere?

Se il nulla fosse il fine di tutto, tutto sarebbe assurdo e nulla esisterebbe.

Ma il nulla non può essere il fine, perché non può essere il principio della vita che effettivamente c’è. Il fine di ogni realtà corrisponde al suo principio.

Siamo destinati non all’annientamento, ma alla comunione con il Figlio e il Padre, nello Spirito. Questo racconto ci presenta il cuore del messaggio cristiano, che risponde al bisogno di felicità e pienezza presente in ogni uomo. Seguendo questo desiderio, si può ragionevolmente aver fede nel Dio della vita e accettarlo.

Si può anche rifiutarlo e aver fede nel nulla.

Ma irragionevolmente, perché dal nulla non può venire nulla, mentre di fatto esistiamo e abbiamo quell’anelito di vita che ci costituisce uomini.

Il rifiuto di Dio e della vita deriva, più che da una sua ragionevolezza, dal nostro modo tragico di concepire la morte, con i disturbi emotivi che ne conseguono.

Da questo modello sbagliato ci guarisce il presente racconto.

Gesù è risurrezione e vita. La risurrezione è una vita che non ignora la morte; anzi, passa attraverso di essa, dandole il suo vero significato di passaggio vissuto nella fiducia in Gesù.

Noi cristiani crediamo che Gesù è il Figlio di Dio. Egli ha vissuto la sua morte violenta come dono della propria vita ai fratelli: in lui ci è offerta ora la possibilità di essere liberi dalla paura della morte, che ci tiene schiavi nell’egoismo, per vivere come lui nell’amore.

Questa è la vita eterna, la vita piena che il Figlio è venuto a portare ai fratelli. Essa è già cominciata e mai finirà.

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Rito romano

V domenica di Quaresima

Giovanni 8,1-11

In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro.
Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.
Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.
Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

Commento

Passo commovente e sorprendente.
Non ho mai capito come si possa avere di Dio una immagine di carabiniere o di giudice sdegnoso (anche il buon Michelangelo ci è cascato nel suo Cristo apollineo e severo della Sistina), leggendo il vangelo e in particolare un passo come questo.
Evidentemente il Vangelo per molti è sconosciuto. (A ciò bisogna porre urgente rimedio con la lettura integrale e frequente del testo).
Tornando al passo vi troviamo il fondamento delle famose parole di San Giovanni XXIII, quando parlava di distinguere l’errore dall’errante:
la donna è perdonata ed è ridonata a se stessa, alla vita, alla speranza e ciò che accade pure a noi quando riceviamo il perdono sacramentale
Il male non è accettato come se fosse nulla, anzi è condannato con chiarezza e c’è il comando di evitarlo. Esso va evitato, perché come male fa male all’uomo stesso. Di ciò dovremmo ricordarci più frequentemente, infatti le sofferenze più grandi della nostra vita hanno quasi sempre origine dai nostri peccati.

Ma il cuore del testo è il dialogo breve e folgorante tra Gesù e la donna: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

La legge di Mosè prevedeva la lapidazione per questo genere di peccato. Gesù salva la donna da morte certa.  Con la sua determinazione nel resistere alle insistenze dei potenziali lapidatori, Gesù mette in pratica le parole del profeta Ezechiele: “Forse che io ho piacere della morte del malvagio, o non piuttosto che desista dalla sua condotta e viva?” (Ez18, 23).

C’è pure una seconda salvezza: Gesù la salva anche da se stessa e le regala una nuova coscienza e una vita liberata dal male. Il Vangelo appare come stupefacente via di liberazione per tutti noi.

In questo passo Gesù rivela se stesso come giudice divino, che ha a cuore la vita e la gioia dei suoi figli. Questo vale sempre. Gesù si rivolge alla coscienza della donna, senza abolire la legge morale, per cui il male va evitato. Alla domanda di Gesù: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?” la donna risponde: “Nessuno, Signore”. Chiamare Gesù con questo titolo è il suo riconoscimento dell’identità benefica di Gesù, come Signore della vita (via e verità). Vuol dire che la donna ha iniziato un cammino di conversione.

Perché questo passo è scandaloso? Perché sembra che la legge passi in secondo piano e che si dia libera uscita ad ogni forma di soggettivismo.

In realtà la Legge, quella con la elle maiuscola, cioè la legge di Dio è essa stessa un dono. Essa richiama la persona umana alla verità di se stessa e attraverso la coscienza guida le azioni della persona. In una forma estremamente sintetica possiamo dire che Legge e Coscienza sono due doni di Dio, che ci aiutano a camminare verso il dono per eccellenza che è il bene, ovvero la volontà d’amore di Dio, la sola che fa vivere. Questo schema triangolare evita i conflitti tipici del sistema binario: legge che si oppone a coscienza e viceversa. Senza dilungarmi troppo vi invito a pensare a un altro esempio, quello di Autorità e Libertà. Il conflitto è inevitabile se non si introduce un altro elemento, che in questo caso è il bene comune. Autorità e libertà si aiutano vicendevolmente a realizzare un terzo elemento che da sole non raggiungerebbero.

Nello schema ternario la coscienza sa di aver bisogno della legge e la legge sa di essere solo una guida che deve rispettare anche la libertà e la coscienza della persona (perdonate questo modo di parlare, che fa della legge e della coscienza due quasi personaggi). Se leggiamo il catechismo della Chiesa cattolica troviamo che perché ci sia un peccato grave o mortale sono necessarie tre cose: la materia grave che in genere coincide con i 10 comandamenti o con una grave mancanza di carità. Dopo questo primo elemento, perché ci sia peccato mortale, ne occorrono altri due. Essi sono: la piena avvertenza e il deliberato consenso. Ora queste cose le sappiamo a memoria, però non sempre facciamo caso che la materia grave rappresenta la legge, la quale indica i campi in cui i valori in gioco sono di primo livello e se si violano si entra in una condizione di pericolo morale. D’altra parte, non sempre consideriamo il valore corretto da attribuire alla piena avvertenza e al deliberato consenso. Possiamo dire che questi due elementi sono quelli che rappresentano il cammino della coscienza. Infatti la piena consapevolezza di fare del male è necessaria alla commissione di un peccato mortale anche quando si tratta di una materia grave. Lo stesso si deve dire per il deliberato consenso: se non c’è un consenso pieno della persona, ripeto anche in presenza di materia grave, non si ha il peccato mortale. Ora chi è che stabilisce la gravità del peccato? Nella prassi cristiana i Dieci comandamenti indicano dove c’è la materia grave. Ma dobbiamo tenere conto che le Beatitudini e il Comandamento Nuovo di Gesù, sono pure fondamentali. Una mancanza d’amore può essere molto grave, tanto da realizzare un peccato mortale. Quindi il ventaglio della materia grave può essere esteso alla gran parte delle relazioni umane. Il criterio può essere il seguente: infliggere sofferenze agli altri rientra nella materia grave. Ma chi stabilisce se c’era la piena consapevolezza e il deliberato consenso? Questi elementi sono quelli tipici della coscienza di ciascuno e non si possono giudicare dall’esterno. Il protagonista vero è il soggetto che ha compiuto l’azione. Solo lui sa se ha voluto con piena consapevolezza e con piena determinazione un atto morale malvagio. Se il soggetto è certo che i tre elementi ci sono tutti confesserà il peccato mortale (nel senso che si è separato volontariamente dalla grazia di Dio). In un certo numero di casi questa certezza il soggetto non l’ha, perciò può chiedere luce allo Spirito Santo e farsi consigliare dal confessore. Nasce così un processo di discernimento per capire se effettivamente il soggetto aveva questi requisiti negativi che hanno contribuito a fare di quel peccato un peccato mortale. In questo processo, il confessore può accompagnare il discernimento, a volte mostrando come in certi casi non ci sia stata la piena avvertenza o il deliberato consenso. In tal caso si avrebbe un peccato oggettivamente grave, ma non soggettivamente mortale. Può accadere anche il contrario, cioè il penitente che pensa di aver commesso un peccato grave ma non mortale, nel processo di discernimento comprende che invece il suo atto era anche mortale.  La Chiesa insegna che in questo processo di approfondimento va sempre rispettata la coscienza della persona.

Tornando al Vangelo, nel passo di Giovanni ci viene indicato che l’obiettivo finale di Dio è quello di comunicare la pienezza di vita alle sue creature, a questo fine servono la sua stessa legge e la coscienza umana. In caso di violazione della legge, Dio non è preoccupato della punizione prevista dalla legge, ma del recupero, della rinascita della persona. Non sempre gli uomini sono d’accordo con il modo di procedere di Dio, sembra che vogliano insistentemente soddisfazione, quella soddisfazione a cui Dio rinuncia. È per questo che ci scandalizziamo.  Con questo passo Gesù opera una rivoluzione. La sua è una rivoluzione d’amore, di accoglienza, di speranza. Un amore gratuito che guarisce il cuore, cambia le relazioni con Dio e con gli uomini. La bellezza della misericordia di Dio fa comprendere quanto sia assurdo impelagarsi nel male.
Bisogna riconoscere che anche la chiesa fatica a perdonare così largamente come Gesù. Dobbiamo tutti convertirci a questo modello.

Buona domenica a tutti

Don Michele