Giuseppe Moscati
Con la medicina della carità
di Paola Bergamini
(Oss. Rom. 8-VI-2016)
Poco dopo, tre ferrovieri si avvicinano ai due uomini. Con il cappello in mano uno di loro si rivolge a Giuseppe [Moscati]: «Mi scusi professore, vorremmo chiederle un piacere». «Dite pure». «Un nostro collega è molto malato. Abita a Castellammare di Stabia, la prossima fermata, se voi poteste visitarlo». Giuseppe tace. «Vi abbiamo subito riconosciuto, quando siete salito sul treno — riprende il ferroviere —. Abbiamo pensato che potevate esserci d’aiuto. Ma, se non potete, scusate il disturbo», Immediatamente Giuseppe si alza in piedi: «Avete fatto bene. Vengo sicuramente». E rivolto all’amico: «Volete accompagnarmi?». Padre Pergola scatta in piedi e si dirige verso l’uscita.
La casa non è molto distante dalla stazione. Appena entrato, Giuseppe si dirige nella camera dell’ammalato e inizia a visitarlo con la solita cura. Alla fine, raggiunge i familiari, i tre ferrovieri e padre Pergola. «La situazione è grave — spiega —. Ma non senza via d’uscita. Il vostro collega sicuramente guarirà se seguirete le indicazioni che adesso prescrivo. Ora però, chiamate il parroco perché il vostro amico si confessi e possa ricevere la Comunione. Questa è la cosa più importante: la salute dell’anima. Vale per lui e vale anche per voi. Il Signore è vicino a chi soffre e a chi chiede aiuto sempre risponde».
Si siede al tavolo e inizia a scrivere la cura. In un angolo i tre ferrovieri parlano a bassa voce. Padre Pergola si avvicina: «C’è qualcosa che non va — domanda — in quello che vi ha detto? Potete chiedere spiegazioni». «No, no padre — risponde uno di loro —. Stavamo raccogliendo i soldi per il professore. Certo, non sono molti, lui sarà abituato a ben altri compensi, ma noi siamo povera gente». «State tranquilli, non esige alcun onorario da chi non può». Giuseppe, accortosi del confabulare, chiama il sacerdote e chiede: «Cosa vogliono?». «Stanno raccogliendo il denaro per voi». Con passo deciso si avvicina al gruppo ed, estraendo dal portafoglio tre biglietti da 10 lire, dice: «Poiché ho visto che per venire in aiuto del vostro amico avete perso ore di lavoro, voglio dare anche io il mio aiuto alla sottoscrizione che state facendo per aiutare la famiglia. La cura che ho prescritto è purtroppo un po’ costosa». E così consegna le tre banconote in mano al ferroviere più anziano. I tre sono ammutoliti. Tentano di baciargli la mano, ma Giuseppe prende il cappello e la borsa e chiama padre Pergola: «È tardi. Dobbiamo incamminarci velocemente, altrimenti rischiamo di perdere l’ultimo treno per Napoli».
Giunge a casa quando ormai il sole all’orizzonte rosseggia e le prime stelle cominciano a brillare. Nel corridoio alcuni malati attendono di essere visitati. Nina lo raggiunge: «Una persona importante ti aspetta. È qui da molte ore». Giuseppe entra nello studio. In piedi un signore molto distinto lo saluta: «Egregio professore, buona sera. Ho bisogno urgente del suo aiuto. Mia madre non sta bene e vorrebbe che lei venisse a visitarla». «Appena posso — risponde — vengo. Mi lasci l’indirizzo. Ora come avrà notato non è possibile. Se vuole comunque posso indicarle un collega che sicuramente…». «No, no — lo interrompe l’uomo —. Mia mamma vuole lei. È molto urgente. Un nostro parente, un importante prelato napoletano, ci ha fatto il suo nome. Pensiamo che sia una questione di vita o di morte. La prego». Giuseppe acconsente: «Va bene, se dite che è così grave la situazione. Andiamo subito».
Rapidamente arrivano al palazzo antico dove vive la donna. Due rampe di scale di lucido marmo. Sulla porta li accoglie la cameriera che li accompagna dalla malata. Nella stanza due donne e due uomini parlano tranquillamente e il clima è molto rilassato. A Giuseppe basta una rapida occhiata per intuire che la situazione non è poi così grave. Si avvicina al letto, inizia la visita e fa domande alla donna per capire meglio i sintomi. La signora risponde garbatamente con voce sicura e alla fine conclude: «Caro professore, sono proprio contenta che siate venuto. Effettivamente non sto molto male, ma ci tenevo che un luminare come voi mi visitasse e confermasse la diagnosi del mio medico». La frase le muore in bocca appena vede l’espressione sul volto di Giuseppe. È arrabbiato, anzi furibondo. Si alza di scatto, prende la borsa e guardando la donna sbotta: «Mi avete fatto venire per niente. Anzi, peggio: per uno sfizio. Per poter raccontare in giro che siete stata visitata, come avete detto? Ah sì, da un luminare. E io ho perso il mio tempo. In studio ho lasciato persone malate che avevano bisogno del mio aiuto, che certamente non hanno un medico di fiducia a cui rivolgersi perché semplicemente non hanno di che pagarlo. Non so come abbiate potuto». Non aspetta che qualcuno replichi e se ne va. Uno dei presenti esclama: «Meno male che dicono che sia un santo, un uomo di carità. Bel modo di comportarsi!». Tutti annuiscono. Dopo pochi minuti la porta si riapre ed entra Giuseppe: «Vogliate scusare il mio comportamento di poc’anzi. Non volevo offendere. Scusatemi ancora». Prende ed esce. Nella stanza c’è solo silenzio.
Un pensiero aveva fatto ritornare Giuseppe sui suoi passi: la carità, la carità di Cristo verso l’uomo, persino verso chi lo aveva tradito. E lui per una cosa in fondo da niente come aveva reagito? Infuriandosi. Il suo tanto prezioso tempo era del Signore che l’aveva portato in quella casa. Ridiscendendo quelle lussuose scale pensa: «Avranno capito che non mi sono scusato per pura formalità? Ma questo non è affar mio». Gli tornano alla mente le parole che qualche giorno prima aveva scritto a un suo studente, Agostino Consoli, al termine del periodo di specializzazione: «Il progresso sta in una continua ricerca di quanto apprendemmo. Una sola scienza è incrollabile e incrollata, quella rivelata da Dio, la scienza dell’al di là. Mirate all’eternità della vita e dell’anima e vi orienterete allora molto diversamente da come vi suggerirebbero pure considerazioni umane». Ora sono molto più vere.