Il 70° di fondazione dell’AMCI (Associazione Medici Cattolici Italiani)

La mattina del 5 luglio 1944, un gruppo di medici guidati dal prof. Luigi Gedda, allora Presidente Centrale della Gioventù Italiana di Azione Cattolica (Giac), e composto da Agostino Maltarello e dai colleghi Villani, Dordoni, Santori, Lodoli, Biava e Stablum, si raccoglieva chiesa romana di S. Carlo ai Catinari, nei pressi di via Arenula, chiesa officiata dai padri Barnabiti, alla scuola dei quali qualcuno dei convocati era stato educato e formato spiritualmente.

Ricorreva la festa di S. Antonio Maria Zaccaria, santo nativo di Cremona nel 1502, che aveva sempre manifestato una singolare attrazione per gli studi medici e che fu il fondatore dell’ordine dei Barnabiti, e fu proprio innanzi al suo altare che quel gruppo di medici, con un’età che andava dai trenta ai quarant’anni, prese l’impegno di dar vita ad un’associazione di medici cattolici; tra essi medici ospedalieri, universitari e funzionari della sanità pubblica, ma tutti accomunati dall’appartenenza e da un grande impegno responsabile nell’Azione Cattolica. (nella foto il card. Angelini con padre Pio ed il prof. Gedda)

Dott. Franco Balzaretti

http://blog.libero.it/MedicinaVita/12873528.html

http://www.amci.org/

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«Le Pr Luigi Gedda fut président de l’AMCI de 1944 à 1976, et président du Secrétariat Médical International de Pax Romana de 1947 jusqu’au Congrès de Manille en 1966, où ce “Secrétariat Médical International” prit officiellement le nom de “FIAMC”. »

« Professor Luigi Gedda was president of the AMCI from 1944 to 1976, and President of the International Medical Secretariat of Pax Romana from 1947 to the Manila Congress in 1966, where this “International Medical Secretariat” took officially the name of “FIAMC “.»

FIAMC CONGRESSES

# Year Venue Theme Elected officers :
President, Secr. Gen,
Treasurer, Vice-Pres.
1 1935 Brussels The role of physicians and 
associations of catholic physicians 
in the Christian rebuilding of society
2 1936 Vienna Eugenics and sterilisation
3 1947 Lisbon Individual and Collective Medicine L. Gedda ?
4 1949 Rome The respect of the human being  in medicine Dr. Grenet ?
5 1951 Paris The forming of the conscience in children L. Gedda
6 1954 Dublin Demography and its medical incidence Dr. Brennan ?
7 1956 The Hague The Physician and Law ?
8 1958 Brussels Christianity and Health P. Van Gehuchten ?
9 1960 Munich The physician in the technological world L. Gedda
10 1962 London The Catholic Physician in societies in evolution L. Gedda
11 1966 Manilla The catholic Physicians and 
the problems of the population
M. Alimurung, J. Farrrugia, 
B. Wuermeling

http://www.fiamc.org/institutional_information/history/history-of-fiamc-until-1986/

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In occasione del 70° di fondazione dell’AMCI, si è riunito il Consiglio Nazionale a Roma e il 5 luglio, alla presenza di Sua Eminenza Reverendissima Card. Fiorenzo Angelini, nella cappella privata delle Suore Benedettine Riparatrici del Santo Volto, Sua Ecc.za Mons. Giuseppe Sciacca ha presieduto la Santa Messa concelebrata da Mons. Andrea Manto.

L’A.M.C.I. compie Settant’anni e la sua storia è anche la mia storia. Non solo perché ne ho trascorsi 38 (dal 1956 al 1994) come Assistente Ecclesiastico Nazionale, ma anche perché sono fortemente legato all’AMCI sin dalle sue origini, da quel luglio del 1944 in cui, in una Roma appena liberata dagli Alleati, con Gedda e altri otto medici e ospedalieri cattolici dell’Azione Cattolica, sentimmo l’esigenza di costruire qualcosa lì dove non c’era più nulla. Il Servo di Dio Padre Ildebrando Gregori – Fondatore delle Suore Benedettine Riparatrici del S. Volto di Gesù, da sempre vicine a me e all’AMCI – ci mise a disposizione i primi locali divenuta sede per tanti anni, e partimmo da zero. Eppure che entusiasmo, che forza missionaria ci spingeva; le tre finalità poste a fondamento dell’atto costitutivo dell’Associazione sono ancora oggi di un’attualità sorprendente: 1. Coltivare la formazione religiosa e culturale dei suoi membri o soci, e di prestarsi fraterna assistenza; 2. diffondere tra i colleghi lo spirito informatore della loro vocazione, avvicinandoli alla pratica e alla cultura cristiana; 3. influire attraverso le rappresentanze professionali per un degno esercizio dell’arte medica e per una legislazione consona alla tradizione cristiana della nazione.
Dieci anni fa, in occasione del Sessantesimo dalla fondazione, scrissi anche che nei tempi complessi e difficili che stiamo attraversando, è necessario che le nostre celebrazioni siano anche occasioni per una seria, articolata ed efficace riflessione sulla storia dell’AMCI e ancor più sugli scopi della nostra Associazione, che ha finalità anche trascendenti. Lo penso anche oggi. Per questo vorrei per prima cosa riprendere le parole che Papa Francesco ha detto durante l’udienza ai medici cattolici il 20 settembre 2013: “Nell’essere umano fragile ciascuno di noi è invitato a riconoscere il Volto del Signore, che nella sua carne umana ha sperimentato l’indifferenza e la solitudine a cui spesso condanniamo i più poveri, sia nei Paesi in via di sviluppo, sia nelle società benestanti”.
Riprendo questa frase in cui io ritrovo l’essenzialità degli scopi dell’AMCI, la sua missione e la possibilità del suo rifiorire. Perché le istituzioni umane sono come ogni forma di vita: nascono da un seme, da un nucleo vitale nel quale si racchiude tutto il progetto destinato a svilupparsi. Ogni manipolazione operata sul seme iniziale può comprometterne in maniera irreparabile lo sviluppo, mentre uno sviluppo che rispetti tutte le potenzialità del seme non può che approdare alla sua migliore crescita e al suo più promettente sviluppo. Anche che il futuro dell’AMCI, l’abbiamo ripetuto più volte, dipenderà dalla capacità dei responsabili e dei soci di rispettare, di ricuperare e di adeguare nell’attività dell’Associazione la vitalità delle sue radici e della sua storia. Oggi, invece, vorrei che riflettessimo assieme sulla grandezza di questa missione, perché a volte è come se non credessimo più, o non fossimo davvero consapevoli che il medico non solo è la figura presente in ogni società umana, ma che il cristianesimo stesso non esisterebbe senza il medico.
Da sempre, infatti, l’opera missionaria della Chiesa parte dal medico, dalla medicina. Quando un missionario arriva nel luogo più sperduto e lontano della terra per convertire altri cuori a Gesù Cristo, la prima cosa che fa non è allestire l’altare per la messa, ma stendere anche solo un telo a terra su cui porre i medicinali. La medicina, l’atto del curare, sono stati sempre il primo segno di fratellanza tra i popoli, di civilizzazione e di promozione umana. Ma nell’esperienza cristiana e nella storia dell’evangelizzazione il piegarsi del medico sul malato con gratuità, come il buon samaritano, acquista un’importanza che non ha eguali. Il curare soprattutto la povera gente, i miserabili che non hanno niente da dare in cambio è stato sempre il primo atto missionario. Per questo il medico non può che essere missionario.
Questo è il filo d’oro che mi lega alla diocesi di Butembo, nella regione del Kivu, della Repubblica Democratica del Congo. Una storia di amicizia nata molti anni fa con un grande arcivescovo, S. E. Monsignor Emmanuel Kataliko, e, dopo la sua scomparsa avvenuta nel 2000, continuata con l’attuale vescovo Monsignor Melchisedec Sikuli Paluku. Monsignor Kataliko in una diocesi a 4000 kilometri dalla capitale Kinshasa, in una zona poverissima, senza strade, corrente elettrica e infrastrutture volle costruire una università, con la facoltà di medicina e di agraria. Fui io a presiedere la solenne celebrazione e l’ordinazione Episcopale di S.E. Mons. Melchisedec, che succederà a S. E. Mons. Kataliko nella guida della Diocesi di Butembo-Beni. Mi accompagnarono in quel viaggio, oltre alle mie Suore, anche il Carissimo Prof. Franco Splendori. E fu in quella circostanza, 2 agosto 1998, che scoppiò la guerra. Come pure fui io, su invito dell’Arcivescovo Kataliko a consegnare le prime lauree in medicina dell’Università cattolica del Graben e per anni sostenemmo da Roma quell’opera coraggiosa e lungimirante con finanziamenti, macchinari e medicinali. Poi da quella storia di amicizia e ammirazione per il popolo e la Chiesa africana è nata la Cittadella della Carità, che con le suore riparatrici del Santo Volto abbiamo inaugurato nel 2012: con la sua chiesa, la casa delle religiose, l’ambulatorio medico, la casa per i sacerdoti anziani, l’orfanotrofio, la scuola primaria e la scuola secondaria ed un Centro di accoglienza. Proprio ai bambini e ai ragazzi è riservato un grande spazio in quest’opera che sorge su una collina di Butembo, nella zona di Ngengere. Un’opera in cui le suore, alcuni amici ed io abbiamo impegnato le nostre forze e le nostre povere risorse in questi anni, aiutati sempre dalla provvidenza.
Sono stato lì sei volte e nonostante l’età vorrei tornarci una volta ancora. In ogni viaggio mi hanno accompagnato amici medici cattolici (prof. Filippo Boscia, prof. Antonino Bagnato, dott. Marco Barigelli, dott. Augusto Mosca, dott. Giovanni Ostuni, prof. Franco Montrone, dott.ssa Principia Perrone) che si sono prodigati a visitare e a curare la popolazione. Non è un viaggio semplice e lì la vita è dura, eppure è bello! Non so come comunicarlo a voi con altre parole se non dicendo che è bello! E sarebbe un dono di grazia se qualche nostro medico cattolico sentisse la vocazione di restare lì.
Molti anni fa, prima ancora di iniziare quest’opera a Butembo, durante uno dei miei viaggi in Africa, mi allontanai dal gruppo di amici che era con me, perché fui attirato dal latrare di un cane fuori da una baracca. Eravamo in una zona di montagna immersa nella vegetazione. Sembrava non ci fosse nessuno, invece nella capanna trovai steso a terra un uomo molto malato, accanto a lui c’erano poche medicine che non riusciva neanche più a prendere. Era un missionario irlandese, ed era lì da solo. Non dimenticai mai quell’incontro e la Cittadella della Carità è anche frutto di ciò che promisi al Signore quel giorno.
Dico questo perché l’Associazione, che riunisce una fondamentale categoria professionale, quella medica, non è un club, ma uno strumento di riabilitazione e ricostruzione morale, spirituale, per la finalità originaria di curare la formazione religiosa e culturale dei suoi membri soprattutto nel campo specifico della medicina.
Con la creazione dell’A.M.C.I., il gruppo di medici fondatori intendeva dare vita a una associazione, riconosciuta dalla Chiesa come una associazione professionale di laici, cooptati nell’apostolato: un apostolato veramente universale, perché i medici cattolici sono per definizione fedeli laici che intendono qualificarsi come servitori della vita, ministri della vita. Sempre Papa Francesco ha detto nella sua udienza ai medici cattolici: “noi assistiamo oggi ad una situazione paradossale, che riguarda la professione medica. Da una parte constatiamo – e ringraziamo Dio – i progressi della medicina, grazie al lavoro di scienziati che, con passione e senza risparmio, si dedicano alla ricerca delle nuove cure. Dall’altra, però, riscontriamo anche il pericolo che il medico smarrisca la propria identità di servitore della vita. Il disorientamento culturale ha intaccato anche quello che sembrava un ambito inattaccabile: il vostro, la medicina! Pur essendo per loro natura al servizio della vita, le professioni sanitarie sono indotte a volte a non rispettare la vita stessa.
Non solo “servitori della vita” ma testimoni della fede. Vorrei ricordare quanto santo Giovanni Paolo II, che volle molto bene all’AMCI, affermò nel suo discorso al XV Congresso Mondiale dei Medici Cattolici: “Il vostro è un Congresso di medici cattolici. È una qualifica questa di cattolici che vi impegna a testimoniare con la parola e con l’esempio la fede in una vita che trascende la vita terrena e si colloca in un disegno superiore e divino…. L’esperienza, infatti insegna che l’uomo, bisognoso di assistenza sia preventiva che terapeutica, svela esigenza che vanno oltre la patologia organica in atto. Dal medico egli non si attende soltanto una cura adeguata,…. ma il sostegno di un fratello che sappia partecipargli una visione della vita nella quale trovi senso anche il mistero della sofferenza e della morte”.
Ma è sempre più diffusa nella società di oggi ed anche nel campo dei professionisti cattolici la mentalità che spinge a considerare la fede religiosa, l’adesione al Vangelo e alla dottrina della Chiesa, come qualcosa che appartiene alla sfera privata. Anche se non si vuole nascondere che siamo cristiani e cattolici, si evita attentamente di metterlo in luce di non professare apertamente la fede. Una professione aperta, ovviamente, non significa professione di fede ostentata, invadente, intollerante, chiusa alla comprensione degli altri. Professione aperta vuol dire innanzitutto professione di fede che si rispecchia con fedeltà e rigore nel nostro operato quotidiano; professione di fede che non ci rende latitanti nel momento in cui credere esige che si prendano determinate decisioni che possono comportare un prezzo anche alto in termini di tornaconto personale; professione di fede nel partecipare alle pubbliche manifestazioni religiose e comunione con la propria parrocchia. È necessario sentirsi cristiani specialmente quando si è soli o ci si crede soli.
Come ho già ricordato nelle mie innumerevoli conversazioni con i medici e il personale impegnato nel servizio ai malati, ho sempre ripetuto che il cristiano, nell’esercizio della propria professione, non è chiamato ad essere diverso dagli altri; ma a cercare di essere migliore, testimoniando la coerenza di vita nel lavoro e nei rapporti professionali, sociali ed anche politici. Questo traguardo, come in uno specchio, si riflette in coloro che siamo chiamati ad assistere e a curare. Loro ci offrono quotidianamente la misura del nostro essere o non essere Buoni Samaritani. Forse nessun’altra categoria professionale, come quella del medico, è costretta a confrontarsi in maniera così rigorosa ed inequivocabile. Poiché il termine di riferimento della verifica per noi è Cristo.
Il modello Cristo dimostra che il servizio al quale il medico è chiamato non si esaurisce in una professione, ma attua e deve attuare una vocazione. E questo è tanto più manifesto oggi in cui questo servizio può contare su strumenti sempre più sofisticati e delicati di presenza. In altre parole, l’arte medica non può essere qualificata come un mestiere e guai se si riducesse a questo. E’ la missione del medico, prima e più della sua professionalità, a renderlo fattore di unità e di incontro tra gli uomini.

Card. Fiorenzo Angelini

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Discorso pronunciato dal Presidente Nazionale, Prof. Filippo Boscia, al termine della Celebrazione Eucaristica per il 70° dell’AMCI.

Desidero esprimere un vivissimo ringraziamento al Cardinale Angelini e alla Madre Generale della Congregazione Benedettina delle Suore Riparatrici del Santo Volto di Nostro Signore Gesù Cristo, Madre Maurizia, per averci accolti oggi 5 luglio 2014, a settanta anni dalla fondazione dell’AMCI, nella loro Cappella privata per rendere grazie al Signore nostro Dio.
E’ il Signore che ci invita a celebrare questo anniversario alla presenza di Sua Eminenza il Card. Angelini e ci chiama a partecipare alla Funzione Liturgica presieduta da Sua Ecc.za Mons. Giuseppe Sciacca e concelebrata da Mons. Andrea Manto.
Al Signore vogliamo affidare il nostro futuro e offrire la nostra testimonianza perenne al servizio della vita.
La nostra Associazione ecclesiale, è nata 70 anni fa, il 5 luglio del 1944 per la provvidenziale positiva azione dei soci Gedda, Maltarello, Villani, Dordoni, Lodoli, Sartori, Biava e Stablum, fondatori che in questa particolare giornata desideriamo ricordare e onorare con particolare affetto e riconoscenza.
L’AMCI da allora è stata ed è sempre fedele al Magistero della Chiesa e testimonia la propria identità in limpido e leale servizio, così come auspicato dai fondatori che l’hanno concepita e da tutti i loro eredi che l’hanno trasmessa fino ad oggi.
L’attività dell’AMCI, Associazione di fedeli laici, sempre aderente alla missione fondamentale della Chiesa, ha coperto una vastità incredibile di campi di azione che dalle attività professionali si sono estese alle complesse questioni del nascere, del vivere, del soffrire, della cura, e della care della persona umana in ogni faticosa tappa del suo percorso terreno.
L’AMCI ha offerto solida formazione ai propri aderenti affinché testimoniassero con carità e spirito missionario il Vangelo della Vita estendendo questa testimonianza alle famiglie, alle agenzie educative e di comunicazione sociale, privilegiando i settori della cultura e della politica.
Per tutto questo siamo particolarmente grati al Cardinale Angelini che ci ha guidati, ai medici fondatori e a tutti gli amici che ci hanno preceduto nelle responsabilità associative. Tutti ci hanno permesso di agire rispettando il dovuto legame con l’autorità ecclesiastica e ci hanno fatto percepire i criteri fondamentali di ecclesialità di una Associazione che svolge il suo impegno e la sua vivace attività al servizio della dignità integrale dell’uomo.
L’AMCI è una sorta di arena nella quale si combatte una battaglia di civiltà e dove si sono perfezionate come vocazione e testimonianza le strategie in difesa della vita, delle fragilità, delle sofferenze e dove si svolgono sfide educative riguardanti le famiglie, l’accettazione dei figli, l’educazione della gioventù, la cura degli ammalati, e la difesa della vita umana dal concepimento sino al suo naturale declino.
Così l’hanno voluta i nostri Assistenti Ecclesiastici Nazionali: una sorta di laboratorio strategico sempre al servizio della vita e di una proficua formazione.
A loro va il nostro sentito ringraziamento!
A Mons. Pelloux, vivace presenza del primo quinquennio;
Al Cardinale Angelini che ci ha seguito sino ad oggi e continuerà ancora con affetto a seguirci;
Al Cardinal Tettamanzi, Assistente Ecclesiastico dal 1998 al 2012;
A Mons. Menichelli, attualmente Vescovo Delegato a guidare l’AMCI nel suo futuro.
Con loro ringrazio anche i Vice Assistenti Nazionali: S. E. Mons. Ignacio Carrasco de Paula, Mons. Mauro Cozzoli e Don Roberto Colombo.
Voglio estendere il mio riconoscente pensiero a tutti i Soci della nostra Associazione che hanno dedicato impegno e positive energie per il bene dell’AMCI. Tra i Soci Fondatori voglio in particolare ricordare l’entusiasmo del Prof. Maltarello, degno testimone di fede che io ho personalmente conosciuto, apprezzato e onorato.
Testimoni credibili sono stati tutti gli altri fondatori, cari amici che a noi hanno lasciato in perenne eredità l’Associazione, affinché continuassimo a forgiare la nostra coscienza cristiana e a sostenere ogni lotta per la giustizia, per la pace e per il bene comune.
Insieme a loro ricordo e ringrazio tutti i Presidenti Nazionali da Gedda, a de Franciscis, da Di Virgilio a Saraceni, tutti i Segretari Nazionali, i Consiglieri Eletti e Cooptati, i Presidenti Regionali e Diocesani, e tutti i Soci che dedicano le loro attività con creatività e forza al servizio degli altri, degli ammalati fragili, ai poveri, indifesi, ai portatori di handicap, e coloro che sono impegnati in lontane terre di missione.
Ricordo il lavoro silenzioso delle nostre segretarie Cristina Narcisi e Valentina Romanini e di tanti altri.
Naturalmente non è possibile presentare in questa sede il lungo loro elenco, ma le loro attività sono ben conosciute a noi tutti che continuiamo a godere del loro impegno e del loro servizio.
Sentiamo viva e palpitante la voce del Pontefice Pio XII, Papa Pacelli, che nel tormentato periodo bellico e per tutto il suo pontificato, con forza e coraggio, ha incitato all’unità dei Cristiani e al loro impegno laicale.
Sentiamo viva e palpitante la presenza dei Pontefici Santi, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II e quella dei pontefici tutti che hanno amato e incoraggiato l’AMCI.
Abbracciamo Papa Francesco, al quale diciamo che desideriamo trovare e proclamare parole nuove e forme nuove con cui raccontare la bellezza e la forza della fede alle persone che incontriamo, ai fragili, agli indifesi, ai deboli, ai feriti dalla vita, per ridar loro la speranza e la certezza che il Signore è con loro che non li abbandona mai, ma li ama teneramente.
Vogliamo essere accanto a Papa Francesco nei percorsi missionari e di conversione che sono di fatto cogenti e necessari nel mondo intero e in modo particolare nella nostra Europa e nella cattolicissima Italia.
Con questo spirito vogliamo essere, e certamente saremo, testimoni credibili di Cristo Risorto ed evangelizzatori nel mondo della sofferenza. La nostra professione, e le nostre competenze saranno vissute da ciascuno di noi come missione per realizzare pienamente il bene dell’umanità nella verità, nella giustizia, nell’amore, nel servizio ai più deboli.
E’ questo il mio augurio per tutti. Viva l’AMCI e il suo futuro.