Il Vescovo Mons. Paolo Ricciardi, eletto Ausiliare di Roma per la Pastorale della Salute, ha indirizzato un messaggio augurale agli ammalati:
Carissimi,
chi vi scrive è don Paolo, un parroco di Roma nominato pochi giorni fa Vescovo ausiliare per la “Pastorale della Salute”, cioè per sostenere e coordinare il ministero di tanti sacerdoti, diaconi, religiosi, religiose e laici a servizio dei malati, nella nostra città di Roma; un Vescovo chiamato a portare, a chi è nella prova, l’attenzione e la vicinanza del Papa e della Chiesa.
Sarò ordinato il 13 gennaio 2018 e, in attesa di quel giorno che darà inizio alla mia nuova missione, già desidero rivolgermi a voi, ammalati, per mostrarvi – per il momento solo per iscritto – la mia vicinanza e la preghiera per tutti e per ciascuno.
Vorrei, in questo istante, essere fisicamente lì, presso la vostra sedia o il vostro letto e, senza dire una parola, starvi semplicemente accanto. Per esperienza diretta e indiretta so bene che, nella malattia, siamo sempre impreparati. Nessuno, per quanto si sforzi di farlo, può comprendere appieno ciò che si prova, né rispondere a tanti “perché”. Anzi, troppe parole a volte ci danno anche fastidio, e non ci aiutano affatto.
Il dolore infatti non chiede spiegazioni, ma vuole condivisione; non domanda motivazioni, cerca partecipazione.
In silenzio, allora… oso sostarvi accanto, semplicemente, nella condivisione e nella partecipazione umane di un momento di prova, al di là della fede stessa che, in questi casi, vacilla o si perde, oppure si rafforza o si ritrova. Spero che vicino a voi ci siano persone che vi offrono il loro amore. A volte proprio nell’ambiente di un ospedale o di una clinica possiamo conoscere qualcuno che ci stupisce in generosità e capacità di relazione. A volte nel tempo della malattia si riscopre ciò che è veramente essenziale e si torna ai valori fondamentali.
Con voi allora oso mettermi in attesa – anche quando le ore, soprattutto di notte, sembrano non passare mai – chiedendo la guarigione o comunque la forza per affrontare la sofferenza, sapendo che, se il nostro corpo umanamente è fragile, la nostra anima può scoprire vie inattese in cui il Signore si fa presente con la sua Grazia. Penso a Lui che, per amore, si è fatto uomo, nella povertà e nel disagio della mangiatoia di Betlemme. Dio non si ferma davanti ai nostri disagi, alle nostre fatiche fisiche e spirituali, ma condivide con noi tutto, fino alla sofferenza estrema, quella della croce. È vero… noi vorremmo un Dio che ci tolga la sofferenza, mentre Lui ha scelto di condividerla con noi, di entrarci dentro, di portare con noi e per noi la croce, per darci forza nelle nostre debolezze. E per aiutarci ad intravedere, oltre il buio del dolore, la Luce dell’amore.
Nell’attesa di questo nuovo Natale vorrei ritrovare con voi questa Luce. In un Bambino.
Forse, nel vostro stesso ospedale, qualche piano sopra o sotto di voi, si ode il pianto – al di là di un vetro – che proviene da tanti piccoli lettini, in cui l’umanità si ritrova sempre solidale, senza barriere di razze o di religioni, di poveri o di ricchi. Un nome, una data di ieri, forse di oggi stesso. E al di là del vetro un padre, una nonna, qualche amico. Che sorridono alla vita. E una giovane donna, in un reparto simile al vostro, che attende il momento di avere il bambino con sé per allattarlo e cullarlo, nella dimensione unica e misteriosa della maternità.
In nome di questi bambini che si affacciano alla vita e del Bambino di Betlemme, “nato per noi” (cfr. Lc 2,11), anche noi vogliamo – pur nella prova di oggi – ritrovare speranza, colmando ogni attimo di rinnovato amore.
Vi benedico con amicizia,
don Paolo