Il Medico celeste
L’unzione degli infermi e la bellezza di Dio
Lettera pastorale per l’anno 2010-2011
+ Bruno Forte
Arcivescovo Metropolita di Chieti-Vasto
Che senso hanno la malattia e il dolore?
La fede in Gesù può aiutarci a riconoscervi un significato
e a farne esperienza con amore?
Per chi si trova nell’infermità
può essere veramente un aiuto il sacramento dell’unzione?
Proviamo a capirlo insieme.
Se riconosci che l’uomo non è solo,
che Dio è amore e che si è fatto vicino a noi
in Gesù Cristo, Suo Figlio e Salvatore dell’uomo,
non ti sorprenderà scoprire fino a che punto arrivino
la Sua tenerezza e la Sua misericordia
nel soccorrerci, sostenerci e anche guarirci
quando ci troviamo nella malattia e nel dolore.
Come testimoniano gli Atti degli Apostoli,
Gesù rimase nella memoria e nel cuore dei Suoi
in modo specialissimo come Colui che passava
“beneficando e risanando… perché Dio era con lui” (10,38) .
1. La domanda del dolore. Quante persone provate dalla sofferenza ho incontrato nella mia vita di prete! E ora che sono Vescovo, quante ne incontro, specialmente in occasione della visita alle Parrocchie! Avvicino tanti ammalati nelle case e nelle strutture sanitarie; parecchi mi confidano le ferite del loro cuore. La fede, che spesso li anima, mi commuove. L’amore di molti dei loro congiunti mi impressiona. La solitudine, in cui a volte si trovano, e la disperazione di alcuni di loro mi toccano profondamente. Le loro domande – espresse o taciute – si riassumono per lo più in una sola: “perché?”. Perché il dolore? Perché proprio a me? Se Dio è giusto, perché il male? Se c’è il male, come potrà esserci un Dio giusto? Sono le domande di sempre. Da esse nasce per alcuni l’invocazione, per altri il rifiuto. Nella storia si fa udire la voce degli uni e degli altri: c’è chi, dinanzi all’inconciliabilità di Dio e del male, sopprime il primo dei due termini: “Per Dio la sola scusa è che non esiste” (Stendhal). Ridurre tutto a questo mondo e alle sue leggi, però, è come arrendersi di fronte al dolore e alla morte. Altri risolvono il conflitto rassegnandosi davanti a un Dio, i cui disegni nessuno può veramente comprendere: è la soluzione degli amici di Giobbe, che tuttavia resta insoddisfatto delle loro risposte, arso dall’attesa di una giustizia futura: “Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!” (Giobbe 19,25). In realtà, una fede in Dio, che giustificasse la sofferenza e l’ingiustizia del mondo senza avvertirne lo scandalo, rischierebbe di essere disumana e di produrre frutti diabolici. C’è, poi, chi arriva a pensare a un cammino di rinunce, che porti ad estinguere ogni sete e quindi ogni capacità di amare e di soffrire: è la soluzione di alcune mistiche orientali, che suscitano oggi un certo fascino nei paesi dell’Occidente. Questa prospettiva, però, riduce la storia umana a vuota inconsistenza e la vita alla fuga verso un “nirvana”, che lascia intatte le lacerazioni e le piaghe della sofferenza del mondo.
2. L’altra risposta: Gesù Crocifisso. Chi crede in Cristo sa che il significato del dolore e la liberazione dal male ci sono stati offerti da Lui sulla Sua Croce: nella sofferenza e nella lotta col male non siamo soli. Il Figlio di Dio, fatto uomo per noi, ci ha preceduto e ci accompagna sulla “via dolorosa”: è “il grande compagno del nostro soffrire”, come lo chiama un “Negro spiritual”, “l’uomo dei dolori” di cui parla il Profeta Isaia (53,3). “Come una pecora fu condotto al macello e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa, così egli non aprì la sua bocca” (Atti 8,32). Gesù ha fatto suo il nostro dolore per aiutarci a portarne il peso: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro” (Matteo 11,28). Con la Sua sofferenza “ci ha riscattati dalla maledizione della Legge, diventando lui stesso maledizione per noi, poiché sta scritto: Maledetto chi è appeso al legno, perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse ai pagani e noi, mediante la fede, ricevessimo la promessa dello Spirito” (Galati 3,13s). Il grido di Gesù morente è voce di tutto il dolore umano: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?” (Marco 15,34; cf. Matteo 27,46). La Sua offerta d’amore ci dischiude un orizzonte di vita più forte della morte: quello dell’abbraccio del Padre, che accoglie l’offerta: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Luca 23,36). Il valore salvifico della sofferenza del Figlio, ci interroga su come noi possiamo vivere la malattia e il dolore insieme con Lui. Paolo arriva a dire: “Ora io sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Colossesi 1,24). Dolore e malattia possono essere una via preziosa di purificazione e di salvezza per chi li vive con Cristo e un aiuto di grazia per coloro per cui vengono offerti. Il timore di non riuscire a farcela potrà essere superato con la fede in Gesù: essa ci fa riconoscere complici dei Suoi carnefici, ma ci fa anche sentire la forza del Suo perdono, la compagnia dolcissima della Sua presenza, la grazia di liberazione e di salvezza che sgorga dalla Sua morte in croce.
3. La Trinità e il dolore. A consegnare Gesù alla morte per tutti noi è il Padre: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Giovanni 3,16). “Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?” (Romani 8,32). Si manifesta qui la profondità dell’amore divino per gli uomini: “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1 Giovanni 4,10). L’offerta della Croce rivela il Padre come la sorgente del dono più grande, amore infinito: “Dio (il Padre) è amore” (1 Giovanni 4,8‑16)! Alla sofferenza del Figlio, “che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Galati 2,20), corrisponde, dunque, una sofferenza del Padre, parimenti scelta e vissuta per amore: Dio soffre sulla Croce come Padre che offre il suo Unigenito, come Figlio che si consegna alla morte per noi, come Spirito, che è l’amore in persona che li unisce. La Croce è la rivelazione dell’amore infinito di Dio per il mondo: un amore che non subisce la sofferenza, ma la sceglie. Diversamente dalla mentalità greco‑occidentale, che concepisce la sofferenza sempre come passiva, subita e dunque imperfetta, il Dio cristiano rivela un dolore attivo, liberamente scelto, perfetto della perfezione dell’amore: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Giovanni 15,13). Un mistero di sofferenza e di amore si lascia scrutare nell’abisso della vita divina: come afferma l’Enciclica Dominum et vivificantem (1986) di Giovanni Paolo II, “il Libro sacro… sembra intravvedere un dolore, inconcepibile e inesprimibile, nelle ‘profondità di Dio’ e, in un certo senso, nel cuore stesso dell’ineffabile Trinità… Si ha così un paradossale mistero d’amore: in Cristo soffre un Dio rifiutato dalla propria creatura… ma, nello stesso tempo, dal profondo di questa sofferenza lo Spirito trae una nuova misura del dono fatto all’uomo e alla creazione fin dall’inizio. Nel profondo del mistero della Croce agisce l’amore” (nn. 39 e 41).
4. L’amore vittorioso. La sofferenza divina – rivelata sulla Croce – è dolore di amore: è sofferenza liberamente accettata per amore. La Croce non è il vessillo di un’atea morte di Dio, ma la buona novella della morte in Dio, perché l’uomo viva della vita del Dio immortale nella partecipazione alla comunione trinitaria, resa possibile grazie a quella morte, scelta e accettata per amore. L’amore che lega l’Abbandonante all’Abbandonato è più forte della morte, sebbene inizialmente questa sembri trionfare. La sorprendente identità del Crocifisso e del Risorto mostra come il calice della passione del Figlio di Dio sia stato colmato dall’acqua, che zampilla per la vita eterna (cf. Giovanni 7,37‑39). Il frutto dell’albero della Croce è la gioiosa notizia di Pasqua: il Consolatore del Crocifisso viene effuso su ogni carne per essere il Consolatore di tutti i crocefissi della storia e per rivelare nell’umiltà e nell’ignominia della Croce, di tutte le croci della storia, la presenza corroborante e trasformante del Dio cristiano. La Croce rinvia alla Pasqua: l’ora della lacerazione rimanda a quella della riconciliazione, l’impero della morte al trionfo della vita, l’apparente vittoria del male alla potenza redentiva dell’amore! “In Cristo Gesù voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al suo sangue. Egli è la nostra pace… Per mezzo di lui possiamo presentarci al Padre in un solo Spirito” (Efesini 2,13s.18). All’abbandono della Croce segue la comunione della resurrezione: la morte in Dio per il mondo del Venerdì Santo si trasforma a Pasqua nella vita nuova del mondo in Dio. La Croce è illuminata dalla risurrezione come la morte della morte, l’offerta che riconcilia, non negando l’unità divina, affermandola anzi nel modo più intenso come comunione fra il Padre e il Figlio e quanti si uniranno a Lui, quali figli nel Figlio.
5. La Sua Croce e la nostra: il sacramento dell’unzione e la prossimità divina. La Croce è dunque il luogo in cui Dio parla nel silenzio della finitudine umana, che è diventata per amore la sua finitudine! Il mistero che in essa è rivelato è la buona novella del dolore di Dio e del suo amore per gli uomini. Il Dio cristiano soffre perché ama ed ama in quanto soffre: è il Dio “compassionato”, come si diceva nell’italiano del Trecento, perché è il Dio che patisce con noi e per noi, donandosi fino al punto di entrare negli abissi della morte, per vincerla e accoglierci in sé nella pienezza della vita. In questo senso, la sofferenza divina rivelata sulla Croce è veramente la buona novella: “Se gli uomini sapessero… – scriveva Jacques Maritain – che Dio ‘soffre’ con noi e molto più di noi di tutto il male che devasta la terra, molte cose cambierebbero senza dubbio, e molte anime sarebbero liberate”. Il Dio vivente si è fatto vicino alla debolezza e alla fragilità della creatura, specialmente quando essa è provata dall’infermità, per renderla partecipe del Suo amore e della Sua vittoria: Egli non ci lascia soli nella prova, fa compagnia al nostro dolore e dà ad esso infinita dignità e valore, se l’offriremo a Lui e con Lui per amore. Questa prossimità divina alla sofferenza ci viene partecipata in modo particolare mediante il sacramento dell’unzione degli infermi, dono da proporre con gioia e sollecitudine a chi è debilitato dalla malattia, e non – come a volte si pensa – rimedio estremo da rimandare il più possibile! L’unzione sacramentale rende partecipi della vittoria che Cristo è venuto a portare sul peccato e le sue conseguenze: “Gesù andava attorno per tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del regno e curando ogni malattia e infermità” (Matteo 9,35). Questo potere di annunciare e realizzare l’avvento vittorioso della grazia anche in rapporto alle infermità è stato trasmesso dal Signore agli apostoli: “Chiamati a sé i dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d’infermità… Questi dodici Gesù li inviò dopo averli così istruiti: ‘..Strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni’ ” (Matteo 10,1. 5. 7s). Così, attraverso il ministero della Chiesa la forza vittoriosa del Risorto è estesa ad ogni cuore che la invochi.
6. Il ministero della Chiesa e la sofferenza umana. Gli apostoli hanno assolto il mandato ricevuto da Gesù con le parole della fede, i gesti della carità e il segno efficace dell’unzione: “Partiti, predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano” (Marco 6,12s). Nel mondo antico l’olio era considerato medicamento e prodotto di bellezza, adatto perciò ad essere percepito come segno tanto della guarigione, quanto della bellezza divina, partecipate agli infermi dagli inviati del Signore. La lettera di Giacomo attesta questa prassi nella Chiesa delle origini: “Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati” (Giacomo 5,14s). La Chiesa ha perciò riconosciuto nell’unzione, conferita dal sacerdote e accompagnata dall’imposizione delle sue mani e dalla preghiera, il segno sacramentale del dono divino che viene in soccorso all’infermo e sostiene lui e chi gli è vicino, perché la prova della malattia sia vissuta con fede e con amore e si manifesti l’opera salvifica di Dio. Si tratta di un dono di grazia che arricchisce l’intera comunità, e che perciò va sempre conferito con una celebrazione liturgica e comunitaria, sia che abbia luogo in famiglia, all’ospedale o in chiesa, per un solo malato o per un gruppo di infermi. È un evento di grazia, che coinvolge tutta la Trinità divina: in rapporto al Padre l’unzione è il sacramento dell’offerta della sofferenza dell’infermo al Padre e della grazia con cui il Padre l’accoglie, valorizzando il dolore e l’infermità come via di redenzione e di salvezza. In rapporto al Figlio il sacramento dell’unzione unisce la passione dell’uomo alla passione di Cristo ed applica ad essa i meriti del Salvatore, raggiungendola con la Sua potenza salvifica. In rapporto allo Spirito Santo l’unzione comunica la forza che viene dall’alto e stabilisce la comunione degli infermi con tutta la Chiesa nel vincolo operato dal Consolatore, grazie al quale la comunità e il singolo reciprocamente si aiutano nell’ora della sofferenza e della prova. Perciò il sacerdote, ungendo con l’olio l’infermo sulla fronte e sulle mani, gli dice: “Per questa santa unzione e la sua piissima misericordia ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo, e liberandoti dai peccati ti salvi e nella sua bontà ti sollevi”.
7. Un dolore che salva. L’unzione sacramentale – incontro della Trinità Santa con la malattia ed il patire umano – manifesta allora la possibilità di un dolore salvifico, in cui il cristiano, nascosto con Cristo in Dio, viva l’esperienza dell’infermità come offerta di amore al Padre e comunione solidale con gli uomini, trasformando il dolore in amore ed accogliendo i frutti di guarigione e di vita, che il Dio vivente opera nell’interiorità del cuore e nella sua irradiazione fisica. La celebrazione del sacramento degli infermi richiede e stimola una fede così profonda, da riconoscere la bontà divina anche nel tempo della malattia, ed una fiducia così grande, da aprirsi nell’offerta e nel dono di sé a tutte le possibili sorprese dell’Eterno: “Io ho fiducia nel Signore, che ha nascosto il volto alla casa di Giacobbe, e spero in lui” (Isaia 8,17). Per chi crede in Dio e a Lui si affida, nulla mai è perduto: il Medico celeste, Gesù, lo accompagna e solleva sulla via dolorosa dell’infermità. Perciò, è importante far conoscere a tutti la grazia del sacramento dell’unzione: si tratta di un dono grande del Signore, che ci soccorre nella nostra debolezza quando più ne abbiamo bisogno. A tal fine, è bene accogliere l’invito della Chiesa a chiedere questo sacramento – che può essere ricevuto anche più volte, qualora ce ne fosse la necessità – quando le condizioni di età o di infermità rendano il fedele particolarmente bisognoso dell’aiuto della grazia divina, precisamente perché esso “ha lo scopo di conferire una grazia speciale al cristiano che sperimenta le difficoltà inerenti allo stato di malattia grave o alla vecchiaia” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1527). Specialmente nell’azione pastorale ospedaliera si faccia catechesi ripetuta e frequente circa il valore del sacramento dell’unzione: gli operatori sanitari credenti non trascurino mai di proporlo a chi ne avesse bisogno, con la serena convinzione della fede che deve caratterizzare il discepolo di Gesù. Invito pertanto tutti a invocare con me la luce per comprendere, vivere e annunciare in parole e opere il dono corroborante dell’amore di Dio, specialmente nell’ora del dolore e della malattia, quale si manifesta in tutta la sua bellezza attraverso il sacramento dell’unzione: Dio della vita, Tu che hai consegnato alla morte il Tuo unico Figlio per amore nostro, donaci di sperimentare la forza consolante e sanante del Tuo amore misericordioso e di offrire a Te il nostro dolore per la salvezza del mondo. Signore Gesù Cristo, che Ti sei consegnato per noi al supremo abbandono della Croce, fa’ che avvertiamo la Tua vicinanza nell’ora della nostra Croce e condividiamo con Te l’offerta, che cambia il cuore e la vita. Spirito Santo Consolatore, che unisci l’Abbandonato della Croce a Colui che l’abbandona, fa’ che riconosciamo nel sacramento dell’unzione la potenza di vita effusa dal Risorto, e crediamo nella forza dell’amore, che viene dall’alto, capace di trasformare il dolore e di vincere l’apparente vittoria della morte. Amen.
Leave A Comment
You must be logged in to post a comment.