A colloquio con monsignor Zygmunt Zimowski
Mario Ponzi
Quando decise che l’immaginetta a ricordo della sua prima messa doveva recare la frase “Vado, o Signore, per poterti servire nei poveri e nei sofferenti”, il giovane sacerdote polacco Zygmunt Zimowski non avrebbe certo potuto immaginare che un giorno – lontano, allora, ben trentasei anni – la scelta di quella frase si sarebbe rivelata profetica per la sua missione sacerdotale: guidare il Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari (per la pastorale della salute). Così quando il 18 aprile di quest’anno Benedetto XVI, sollevandolo dal governo pastorale della diocesi polacca di Radom, lo ha chiamato a presiedere l’importante dicastero, per l’arcivescovo è stato come se giungesse a maturazione l’itinerario spirituale del suo sacerdozio. “Preparare, guidare e sostenere i malati, i sofferenti e gli operatori sanitari in un mondo sempre più complesso – ha detto a “L’Osservatore Romano” – è una sfida assai impegnativa. Quello affidatomi dal Papa, è un incarico pastorale tanto delicato, quanto articolato e complesso. Devo essergli grato per la fiducia riposta in me”.
Sessant’anni da poco compiuti, – è nato a Kupienin, diocesi di Tarnów il 7 aprile del 1949 – nel 1982 ha conseguito il dottorato in teologia presso la facoltà teologica dell’università Leopold Franzens di Innsbruck (Austria). Ha lavorato per molti anni presso la Congregazione per la Dottrina della Fede, quando ne era prefetto l’allora cardinale Joseph Ratzinger. Nel 2002 è stato nominato vescovo di Radom, diocesi polacca con più di novecentomila anime. La sua ordinazione episcopale fu presieduta dallo stesso cardinale Ratzinger. E ora, a partire dal prossimo 1º luglio, raccoglierà l’eredità dei cardinali Angelini e Lozano Barragán alla guida del dicastero.
Lei è più conosciuto come teologo e, soprattutto in Polonia, come vescovo. Qual è la sua esperienza nel campo della pastorale per la salute, nell’assistenza ai malati e ai sofferenti?
In realtà è proprio in questo ambito che ho vissuto momenti che hanno segnato la mia vita sacerdotale, prima in Polonia, poi in Austria e quindi in Italia, senza dimenticare il mio ministero episcopale a Radom e in seno alla Conferenza episcopale polacca. Desidero, in proposito, ricordare l’incontro con l’allora presidente di questo stesso dicastero, il cardinale Fiorenzo Angelini, avvenuto qui a Roma. Oggi posso dire di essere grato al Signore per quell’incontro, perché mi ha ulteriormente aperto la mente e il cuore a questo vasto e delicato mondo della malattia e della sofferenza e mostrato come il malato sia una delle vie più importanti dell’apostolato della misericordia, che viene percorso dalla Chiesa da oltre duemila anni. Così in me si è accresciuta la sollecitudine per gli infermi che, come vescovo di Radom, ho cercato di vivere e testimoniare.
Ho anche maturato una decennale esperienza di apostolato a Bassano Romano, presso la congregazione delle suore Benedettine Riparatrici del Santo Volto di Nostro Signore Gesù Cristo, dedita al servizio dei malati, dei bambini sofferenti e degli anziani. È stata un’esperienza che mi ha rafforzato nel credere al valore redentivo della sofferenza. Un frutto concreto è visibile nel mio paese natale, a Kupienin, dove è sorto un centro per le persone anziane, anche non autosufficienti.
Nella diocesi di Radom ho, in seguito, organizzato il servizio della cappellania ospedaliera e curato la preparazione culturale, teologica e spirituale di seminaristi, sacerdoti, religiosi e religiose e laici in questo campo.
Ho poi fondato il Centro caritativo ed educativo Emmaus, intitolato al servo di Dio Giovanni Paolo II. Si tratta di un’opera significativa, sia per la formazione che per l’aggiornamento spirituale e pastorale dei fedeli, fra i quali gli operatori sanitari, sia per le persone portatrici di handicap.
Per la conferenza episcopale polacca, quale presidente della commissione per la dottrina della fede, ho dovuto tra l’altro studiare e affrontare questioni legate alla bioetica e all’evoluzione legislativa del Paese in questo settore.
Quali sono gli impegni e le sfide che si prepara ad affrontare ora alla guida di questo dicastero?
Intanto, oltre a esprimere gratitudine al Papa per avermi affidato un incarico così importante, nel momento in cui mi accingo a iniziare il mio lavoro, non posso non rivolgere il pensiero al mio diretto predecessore, il cardinale Javier Lozano Barragán e al primo presidente di questo Pontificio Consiglio, il cardinale Fiorenzo Angelini, che lo ha guidato dalla sua fondazione per oltre dodici anni. Quanto a impegni e sfide so che saranno assai impegnativi; si tratta di guidare un’istituzione che da venticinque anni si dedica al malato, a chi lo accoglie, lo assiste, lo cura e a chi, in generale, è coinvolto nel campo della salute. Oggi poi, per i cambiamenti che investono le nostre società, i luoghi di cura sono diventati anche centri di incontro, sempre più importanti, tra persone di diversa cultura, origine, lingua e religione.
Ecco perché sono convinto della delicatezza e della complessità del lavoro da fare. Sono altresì convinto dell’importanza di una presenza qualificata, accanto ai consacrati, di operatori sanitari laici di indubbia preparazione professionale e di certa formazione morale e spirituale. Del resto per loro è stato istituito il Pontificio Consiglio e da essi la Chiesa aspetta risposte adatte e pertinenti alle problematiche attuali in materia di salute e di sanità. In sostanza sono loro che ogni giorno devono affrontare nuove sfide, non solamente scientifiche, ma anche etiche. Dunque devono trovare il giusto sostegno spirituale e morale in ogni istante del loro lavoro, e della loro vita per non perdersi nei mille aspetti scientifici, tecnici o metodologici che non sempre offrono la vera soluzione, ma conducono allo smarrimento dei veri obiettivi che restano la preservazione della salute, della vita, della speranza e, laddove possibile, la guarigione.
Inoltre, non si può, né si deve dimenticare il fondamentale ruolo di coordinamento che questo Pontificio Consiglio ha nei confronti delle 117.467 strutture sanitarie cattoliche attive in tutto il mondo, così come quello delle attività svolte dai diversi dicasteri della Curia Romana, che finiscono per entrare in relazione con il mondo sanitario e le sue problematiche. Né tantomeno si può trascurare l’organizzazione di eventi internazionali, quali la Giornata mondiale del malato dell’11 febbraio di ogni anno, per riproporre continuamente la necessità di assicurare la migliore assistenza possibile agli infermi; l’annuale Conferenza internazionale su un tema di sanità di rilevanza e attualità scientifica e pastorale, nell’intento di offrire la promozione dell’opera di formazione, di studio e di azione svolta dalle diverse organizzazioni internazionali cattoliche, da gruppi, associazioni e forze del settore, destinatari dell’impegno organizzativo proposto.
C’è poi da diffondere, spiegare e sostenere gli insegnamenti della Chiesa in materia di sanità e favorirne la penetrazione nella pratica sanitaria tramite pubblicazioni di qualità e di grande diffusione. È importante anche seguire con attenzione e studiare gli orientamenti programmatici e le iniziative concrete di politica sanitaria sia a livello internazionale che nazionale, al fine di coglierne la rilevanza e le implicazioni per la pastorale della Chiesa.
Per il mantenimento dei contatti con le Chiese locali, e in particolare con le commissioni episcopali di pastorale sanitaria, ritengo invece molto importanti le periodiche visite “ad limina” dei vescovi al nostro dicastero.
Si tratta di impegni che cercheremo di proseguire insieme con quanti lavorano nel dicastero, magari con rinnovato slancio, per servire sempre meglio malati e sofferenti.
Cosa può fare il Pontificio Consiglio per la promozione della cultura della vita e della salute?
Vorrei rispondere iniziando con il citare alcune parole del servo di Dio Papa Giovanni Paolo II, tratte dall’enciclica Evangelium vitae: “La vita dell’uomo proviene da Dio, è suo dono, sua immagine e impronta, partecipazione del suo soffio vitale. Di questa vita, pertanto, Dio è l’unico signore: l’uomo non può disporne. Dio stesso lo ribadisce a Noè dopo il diluvio: “Domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello”” (Genesi, 9, 5). E il testo biblico si preoccupa di sottolineare come la sacralità della vita abbia il suo fondamento in Dio e nella sua azione creatrice. Per promuovere un’autentica cultura della salute occorre sviluppare una corretta antropologia che non si fermi al bene e alla salute del corpo, ma piuttosto si rivolga alla persona umana, nella sua interezza e nella sua unità somatico-spirituale. Il Pontificio Consiglio dispone da molti anni di un documento, una Magna Carta intitolata Carta degli operatori sanitari, chiamati anche “servitori della vita”. A guidarli nella loro missione vi sono la redenzione di Cristo e la sua grazia salvifica che “raggiungono tutto l’uomo nella sua condizione umana e quindi anche la malattia, la sofferenza e la morte” (Giovanni Paolo II, lettera apostolica Salvifici doloris, n. 2). Parlare di cultura della salute significa, per riprendere le parole del cardinale Fiorenzo Angelini, “considerarla un valore primario inscindibilmente legato al valore della vita, di tutta la vita e della vita di tutti”.
Lei ha partecipato recentemente a Ginevra alla 62.ma assemblea dell’Organizzazione Mondiale per la Salute (Oms) come Capo della delegazione della Santa Sede. Quali sono stati i punti principali del suo intervento?
A Ginevra è stato importante evidenziare alcuni gravi aspetti legati all’attualità, tra i quali le inevitabili, quanto pesanti, ricadute della crisi finanziaria mondiale in atto sulla salute delle popolazioni.
L’attuale crisi economica ha infatti evidenziato il disagio della cancellazione, o di una drastica riduzione, dei programmi di assistenza esterna, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Ciò metterà drammaticamente a rischio i loro sistemi sanitari, che sono già al collasso per la forte incidenza di malattie endemiche, epidemiche e virali. Il 30 marzo scorso, nel suo messaggio al g20, Papa Benedetto XVI ha osservato che: “L’uscita dall’attuale crisi globale solo si può realizzare insieme, evitando soluzioni improntate all’egoismo nazionalistico e al protezionismo”, esortando a un “coraggioso e generoso potenziamento di una cooperazione internazionale capace di promuovere un reale sviluppo umano e integrale”. Sempre in ambito internazionale, persiste una grave mancanza di equità nell’accesso alle cure sanitarie, e i bambini sono le prime vittime, come è stato ricordato dallo stesso Pontefice in occasione della xXIIi conferenza internazionale del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute. Il Papa in quell’occasione ha parlato di “una decisa azione tesa a prevenire per quanto possibile le malattie e, quando esse sono in atto, a curare i piccoli ammalati mediante i più moderni ritrovati della scienza medica, come pure a promuovere migliori condizioni igienico-sanitarie soprattutto nei Paesi meno fortunati”.
La salute è un contesto di diritto e di dovere da parte delle persone e delle istituzioni, che non consente indifferenza né apatia e che si deve avvalere di “una forte solidarietà globale tra Paesi ricchi e Paesi poveri, nonché all’interno dei singoli Paesi, anche se ricchi”, come lo stesso Pontefice ha sottolineato nel messaggio per la Giornata mondiale della pace di quest’anno. Inoltre di grande attualità l’assoluta necessità di impedire che le persone affette dalla influenza a (hinh) vengano stigmatizzate o addirittura colpevolizzate, quasi fossero degli “untori”. Si tratta di vittime e di malati e, come tali, devono essere accolti e trattati.
Cosa pensa degli organismi internazionali e della collaborazione con loro?
Ritengo che i rapporti della Santa Sede con gli organismi internazionali siano importanti e che lo saranno sempre di più, al pari della cooperazione con tutte le iniziative valide in atto o in fase di progettazione. Tuttavia, nel portare avanti questa opportuna collaborazione, la Santa Sede è guidata da un’antropologia che mette l’uomo, la sua dignità e i suoi diritti inalienabili, come per esempio il diritto alla vita, al cuore di ogni trattativa e/o negoziato politico, giacché esso è il fine del bene perseguito dalla comunità internazionale. Negli ultimi anni è stato fatto molto in questo senso e la Santa Sede già collabora con diverse organizzazioni e agenzie specializzate delle Nazioni Unite. Tra le più importanti, si possono citare l’Onu, l’Unesco, l’Organizzazione mondiale del commercio, l’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, eccetera. Riguardo alle competenze del Pontificio Consiglio, il dicastero segue da vicino le questioni e i problemi di sanità internazionale presso l’organizzazione mondiale della sanità e le altre agenzie specializzate dell’Onu come l’Unicef, l’Unfpa, la Commissione delle Nazioni Unite contro gli stupefacenti, in modo che se ne tenga in giusta considerazione nella pastorale della Chiesa. C’è molto da fare, ne sono consapevole. Ma confido molto nell’aiuto del Signore e nel sostegno dei miei collaboratori. |